L’economia delle passioni

Nella prima metà del 2000 ritornò di moda il concetto di prosumer, creato da Alvin Toffler venti anni prima (The Third Wave). Il neologismo serviva a indicare persone in grado di consumare, informazione oppure beni/servizi, ma anche di produrli. Eravamo agli albori del web 2.0 e quel termine si adattava bene a quel tipo di consumatore, essenziale per i nuovi servizi online, in grado di contribuire alla conversazione globale attraverso blog, recensioni, social network.

La monetizzazione diretta e indiretta dell’attenzione.

Nel tempo alcuni di questi prosumer hanno capito che l’attenzione della propria audience poteva avere un valore, monetizzabile in maniera indiretta. Qualcuno ha sfruttato la propria notorietà per farsi portavoce occasionale di messaggi aziendali (modello dell’influencer marketing), altri per valorizzare la propria conoscenza attraverso attività collaterali (libri, seminari, consulenze).
Chi era in grado di raggiungere pubblici molto ampi ha provato la strada delle prime forme di “monetizzazione diretta” abilitate da alcune piattaforme. In principio, nel 2003, fu “Google Adsense” per i blogger; seguì nel 2007 il partner program di YouTube per consentire il revenue sharing sulle pubblicità. Negli ultimi due anni l’azienda ha esteso queste opportunità di guadagno introducendo Super Chat (lo spettatore paga per mettere in evidenza il suo commento), l’abbonamento al canale e la vendita di merchandising.
Di fatto è iniziata una vera e propria guerra tra piattaforme per accaparrarsi i migliori talenti, veicoli di nuova utenza ed engagement.
Facebook sta sperimentando un modello ibrido: incentiva la collaborazione tra aziende e influencer, usa il modello di monetizzazione in-stream di YouTube, ma anche quello ad abbonamento, tipico di Twitch.
Il social dei gamer, acquisito da Amazon nel 2014, permette ai giocatori di guadagnare in diversi modi, ma principalmente attraverso le donazioni spontanee e l’abbonamento al canale.

Oggi si assiste ad una maggiore propensione del pubblico a pagare, anche piccole somme di denaro, per sostenere i propri beniamini e per ottenere i loro servizi

economia delle passioni, marketplace e piattaforme di servizi

Marketplace

Negli ultimi anni sono nati servizi di rete pensati specificamente per offrire opportunità di guadagno ai singoli, con o senza un pubblico rilevante.
I primi a nascere sono stati i “marketplace” pensati per agevolare la vendita di beni, si pensi a eBay, Amazon, Etsy.
Poi sono arrivati quelli progettati per far incontrare la domanda e l’offerta di servizi come Fiverr, che offre ai freelance la possibilità di essere elencati nel suo motore di ricerca.
Al modello del marketplace semplice, poco più di una directory ordinata, si è affiancato quello dei “managed marketplace” nei quali il gestore aggiunge valore al servizio scambiato, ad esempio assicurando la qualità dei venditori attraverso uno screening iniziale.
Ci troviamo nell’ambito del vasto fenomeno della “gig economy”, l’economia dei lavoretti, spesso associata alle attività di soggetti come Uber e Deliveroo (caratterizzati dalla necessità del contatto fisico tra professionista e cliente). Generalmente questi modelli hanno una caratteristica in comune: il provider guadagna sul numero e l’ampiezza delle transazioni.

Servizi per guadagnare con le proprie passioni

Un fenomeno interessante che si sta sviluppando sempre di più è quello di specifiche aziende che offrono soluzioni software as a service progettate per permettere agli individui di monetizzare in autonomia e nel tempo il proprio lavoro intellettuale, le proprie capacità, le proprie passioni.
Tanti i nomi per definirla, “Creators Economy”, “Passion Economy“, “Fan Economy”, “Subscription/Membership Economy”. In sintesi si tratta di un’economia fondata su tre elementi: l’offerta di contenuti di valore, la domanda di contenuti di valore per i quali si è disposti a pagare un prezzo, un provider tecnologico che semplifica la gestione dei rapporti, più che l’incontro, tra domanda e offerta.

In questa ricognizione non ho inserito le piattaforme di crowdfounding come KickStarter, GoFundMe, Indiegogo, che sono dedicate al finanziamento di progetti specifici e non alla generazione di un flusso di ricavi nel tempo.

platforms for creator piattaforme per guadagnare

Per esempio chi è bravo a scrivere può utilizzare Medium e guadagnare sulla base del tempo di lettura dei suoi articoli, da parte di una community di lettori paganti. Oppure può confezionare una newsletter con Substack o Revue per guadagnare attraverso un programma di abbonamenti.
Chi è più portato per i podcast può remunerare il proprio lavoro sfruttando Anchor, Glow, Supercast, Radio Public, Knowable.
Anche gli insegnanti possono provare a monetizzare il proprio tempo con servizi che permettono di creare video lezioni, come Podia, Teachable, Thinkific, Udemy o tenere lezioni private dal vivo come VipKid, Outschool (dedicati ai giovani di 13-18 anni), Juni Learning (per matematica e informatica).

A questi vanno aggiunte nuove tipologie di aziende che offrono soluzioni più ampie, generaliste, per supportare la trasformazione di qualunque tipo di passione in attività imprenditoriale. Lo fanno attraverso un supporto software al contatto tra creator e pubblici interessati o sotto forma di nuovi “mecenati”.
Tra queste la più interessante è Patreon che offre ai creativi un’infrastruttura completa per portare sul mercato i prodotti del proprio ingegno. Iscrivendosi il creatore di contenuti può creare dei piani di abbonamento differenziati e associarli ad una specifica offerta (post, audio, video, live e chat esclusive). La piattaforma che permette di gestire tutto il workflow produttivo fino al pagamento, guadagna una percentuale sulla base degli introiti dei creator.
Simile ma con un approccio peculiare, Ghost è una piattaforma open source che integra la creazione di blog, l’invio di newsletter, e le funzioni di membership a pagamento in hosting. I più esperti possono anche istallare il software su un proprio server per una gestione in completa autonomia.

Questa è solo un’introduzione all’economia delle passioni che potrebbe avere sbocchi interessanti in un futuro in cui il lavoro cambierà profondamente. Quel che è certo è che le piattaforme specifiche per i creator subiranno la concorrenza spietata dei grandi social media.
Se avete altri esempi di servizi che aiutano i singoli a monetizzare i propri talenti, lasciate un commento.

8 replies on “L’economia delle passioni”
  1. says: Maria Grazia

    Ciao Vincenzo, mi hai lanciato molte suggestioni sulla creazione di opportunità lavorative. Proverò a sperimentare le piattarforme che hai citato e vorrei che potessi dedicare altri post a questo argomento. Grazie.

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