Questo è il periodo dell’anno in cui i marketer immaginano quale nuovo trend cavalcare per far percepire al management della propria azienda di essere innovativi. Ma a volte la smania di percorrere nuove strade, ci fa dimenticare di dare uno sguardo alla mappa che ci ha condotti fin qui e alla bussola che ci permetterà di andare avanti. Così, ho voluto provare a confrontarmi con alcune persone che stimo, e che riflettono abitualmente in rete sui temi del marketing. A loro ho chiesto:
Qual è l’attività (anche non nuova) che i digital marketer dovrebbero implementare assolutamente nel 2019 per non rimanere indietro?
Mafe De Baggis, consulente di comunicazione, autrice di Luminol
Nel 2019 sarà più che mai necessario allenarsi e abituarsi a guardare il mondo dal punto di vista dei clienti e non dell’azienda. Risolvere i problemi dei clienti è l’unico modo per poter essere interessanti, in ogni passaggio del customer journey, ma soprattutto nella fase meno considerata e cioè quella della scoperta, dove i social media svolgono il ruolo principale.
Lo strumento perfetto per farlo? Le personas, intese come veri e propri personaggi a tutto tondo: solo se immaginiamo il nostro cliente come una persona nella cui vita giochiamo un ruolo minimale possiamo fare marketing in modo efficace.
Giorgio Soffiato, CEO di Marketing Arena, autore di Marketing Agenda
Punterei su 3 cose:
– una cultura di “slow data” in cui prendere 10 clienti e 3 clienti persi e chiedere loro perché ci scelgono, cosa sanno del prodotto, cosa gli piace e cosa non gli piace di noi, quindi un “auto assessment” ragionato;
– una strategia di traffico e atterraggi. Il marketing è far succedere cose da qualche parte, quindi è statistica e non magia l’idea che se faccio atterrare su un mio presidio delle persone avendo un prodotto interessante, qualcosa succederà. Questo passa da una tattica di campagne sempre accese, siti web responsivi e SEO curata, ma il tema di base è “porta la gente a casa tua, e cerca di convertire il più possibile”;
– la definizione del team ed un equilibrio vero di in-house e outsourcing: comprendere le competenze disponibili ed evitare di chiedere al copy di fare remarketing e al front end developer di fare il sistemista, sarebbe già un gran passo avanti.
Miriam Bertoli, consulente di Digital & Content Marketing, autrice di Web Marketing per le PMI
Una su tutte: avere chiara la buona, vecchia strategia.
Gli strumenti si moltiplicano, i formati di advertising aumentano, le opportunità di produzione e distribuzione di contenuti sono in crescita: il digital marketer deve avere le idee ancora più chiare per orientare persone e investimenti.
Aggiungo: se pensiamo all’esperienza di un cliente lungo il suo percorso d’acquisto, che ruolo hanno i punti di contatto digitali (il sito, ecc) e come si relazionano con tutti gli altri punti di contatto (il punto vendita, il customer service, la fiera, ecc)? Ecco, un’altra spinta verso la necessità per i digital marketer di dedicare tempo e risorse a definire una strategia arriva proprio dalla crescente complessità dei percorsi d’acquisto. E senza una strategia è impossibile allocare in modo efficace i budget di marketing.
Davide Pozzi, consulente SEO conosciuto come Tagliaerbe
Per il 2019, io spero che tutti i marketer (seri) capiscano finalmente che il cliente NON vuole usare la SEO, i social, il blogging, l’email marketing o chissà quale altra diavoleria. A lui non frega nulla del mezzo, a lui importa il fine.
E il fine sono le conversioni, ovvero il fatturato (o meglio, l’utile).
Invece spesso noi “siamo martelli che vedono tutto il mondo fatto di chiodi”. Ovvero cerchiamo di applicare solo ed esclusivamente la nostra professione per risolvere il problema del cliente, quando magari ci vorrebbe un altro mestiere e un altro professionista per arrivare alla soluzione.
Alessandra Farabegoli, consulente di content e email marketing, autrice di Marketing in un mondo digitale
Nello scenario dinamico e complesso di oggi penso ci si dovrebbe concentrare sulla manutenzione del brand. Dentro ci stanno la ricerca e l’affinamento della propria voce e delle declinazioni che questa assume, di situazione in situazione; il rafforzamento dell’identità visuale; ma soprattutto la crescita della consapevolezza di chi siamo, quale cultura aziendale abbiamo, come vogliamo essere percepiti da chi ci incontra.
Questo lavoro si porta dietro un’infinità di attività pratiche, ad esempio la revisione di tutti i messaggi automatici che vengono generati in occasioni come la prima accoglienza sul sito, il modo in cui proponiamo l’iscrizione a una newsletter, il modo in cui accogliamo e ringraziamo chi ci lascia il suo contatto; tutte le procedure pre e post-acquisto, fino ai dettagli di come accompagniamo le fatture o proponiamo un rinnovo, o ci facciamo vivi con chi sembra averci dimenticati.
Spesso quando si pensa all’email marketing si ha un po’ l’ossessione di accumulare grandi liste a cui spedire, necessariamente, messaggi periodici e regolari; ma, a meno che non siamo davvero in grado di offrire un flusso regolare di contenuti di valore, non sono questi i messaggi che ci faranno apprezzare dalle persone che li ricevono: piuttosto, spendiamo bene il piccolo patrimonio di attenzione che ci viene concesso nei momenti caldi della relazione, soprattutto quelli in cui la relazione inizia.
Perché è importante farlo nel 2019? Perché, con il crescere continuo dei flussi di messaggi e informazioni, cresce la stanchezza cognitiva a cui sono sottoposte le persone, e la loro insofferenza verso la mancanza di attenzione delle aziende nei loro confronti. Chi se ne accorge per primo, torna a vincere l’attenzione e la gratitudine delle persone.
Gianluca Diegoli, consulente di strategia marketing e digital, autore di Mobile Marketing
Io credo che il 2019 debba essere l’anno dell’integrazione. Dopo avere per dieci anni aggiunto strumenti e canali, è il momento di farli lavorare assieme come in un’orchestra sinfonica. I solisti hanno fatto il loro tempo, e ogni azione è collegata. Non vedo quindi un nuovo strumento, ma un nuovo momento: di messa a punto e di sincronizzazione.
Per esempio, sui dati c’è tanto da fare: la single customer view è solo nei convegni, in azienda ci sono silos ovunque. Database email non collegati col CRM, che non è collegato con le custom audience pubblicitarie. Azioni di awareness – influencer inclusi – che non vengono valutate per il lift di awareness che portano, per non parlare di valutazioni basate sull’incrementalità e non sul risultato, praticamente sconosciute. Quasi mai si riescono a usare online i dati presi dall’offline – e la omnicanalità è il destino del 99% dei business – e viceversa.
La piccola dimensione media dell’azienda non aiuta l’accesso a tecnologie “collanti”, che vengono vendute a prezzi “americani”.
Ecco, naturalmente caso per caso il focus deve variare. Ma credo che l’integrazione, nel 2019, serva a praticamente tutte le aziende.
Come sempre sarei felice di leggere il vostro punto di vista 🙂