Vincos – il blog di Vincenzo Cosenza

GenAI: impatto sul lavoro e sulle competenze

L’attuale dibattito sull’impatto dell’IA generativa sul mondo del lavoro si è concentrato sulle previsioni, spesso catastrofiche, di sostituzione dei lavoratori. Ma, a ben vedere, il lavoro che svolge ognuno di noi non è un solo lavoro, ma una serie di lavori. Potremmo dire che il lavoro è sempre la somma di più attività (bundle), che richiedono abilità diverse. In quest’ottica, la riflessione sull’impatto dell’IA diventa più profonda e, forse, meno catastrofica.

Cresce l’adozione e la frequenza d’uso dell’IA

Nel recente studio “The Labor Market Effects of Generative Artificial Intelligence“, i ricercatori Hartley, Jolevski, Melo e Moore hanno intervistato un campione di oltre 4.000 lavoratori statunitensi. Hanno scoperto che l’adozione è passata dal 30,1% di dicembre 2024 al 45,9% di giugno 2025 (in Europa potrebbe essere più lenta). Essa ha caratteristiche demografiche ben precise, che potrebbero determinare un “AI divide”, motore di diseguaglianze salariali. L’adozione, infatti, cresce tra chi ha un reddito elevato ed è più spiccata tra chi possiede una laurea. Inoltre, i maggiori adottanti sarebbero gli uomini e i giovani.

La frequenza di utilizzo è elevata: circa il 33% degli intervistati dice di usare la GenAI ogni giorno lavorativo, ma l’uso è probabilmente intermittente, per specifici compiti, perché vengono dichiarate meno di 15 ore di uso settimanale.

Dallo studio emerge che, allo stato attuale, la GenAI funge prevalentemente da complemento al lavoro umano:

L’impatto sul lavoro visto come “bundle di task”

Dunque, allo stato attuale, queste tecnologie possono essere di grande aiuto per velocizzare alcuni compiti ripetitivi e cognitivi, ma impongono un ripensamento del lavoro visto come “bundle di task”. In altri termini, una capacità di riprogettare i processi, cambiando il mix di task che compongono un lavoro (alcuni automatizzabili, altri no). Ciò, ovviamente, potrebbe liberare del tempo da impiegare in attività a maggior valore: strategia, coordinamento, controllo.

Ma, sebbene questa visione task-based suggerisca la persistenza delle professioni, un aumento radicale dell’efficienza può comunque influenzare la domanda aggregata di lavoro. Se una percentuale sufficientemente ampia dei task di un lavoro viene automatizzata, un singolo lavoratore può gestire un volume di lavoro che prima richiedeva più persone. In questo scenario, il titolo professionale sopravvive, ma il numero di occupati in quella professione potrebbe comunque ridursi nel lungo periodo a causa dei guadagni di efficienza.

Quali competenze servono per padroneggiare l’IA?

In questo quadro, la domanda critica che noi professionisti dovremmo porci è: quali competenze dovrei sviluppare per cogliere i benefici del lavoro con l’IA? Mi sembra che queste si possano dividere in tre categorie, a seconda del livello di strategicità ossia di applicazione strategica dell’IA al nostro lavoro:

Queste sono riflessioni non definitive, frutto della mia esperienza a contatto con professionisti e aziende che, anche attraverso la mia consulenza, cercano di innovare. Fatemi sapere cosa ne pensate.

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