Da sempre le organizzazioni utilizzano la comunicazione come risorsa per poter raccontare al meglio se stesse, la propria storia, i propri valori, i propri progetti. Con l’avvento della società di rete che, parafrasando Castells, sempre più si informa, comunica e consuma attraverso la Rete, le tecniche e le modalità del cosiddetto corporate storytelling subiscono un mutamento ineludibile. Quattro i vettori più importanti di questo cambiamento:
le persone: la diffusione dei social media sancisce la morte dell’audience che passivamente recepisce la narrazione d’impresa. In rete chiunque può partecipare alla formazione del grande racconto aziendale, influendo con le proprie opinioni sulle percezioni altrui. Inoltre sempre più spesso accade che un corporate storytelling ipocrita venga smascherato dagli utenti che oppongono il proprio racconto attraverso le potenti armi dello humor e della creatività (recentemente la difficoltà della BP di gestire la crisi ha prodotto video parodie, gustosi falsi account di Twitter, feroci riletture del logo aziendale);
lo spazio: si moltiplicano i luoghi nei quali l’organizzazione può narrare se stessa. Soprattutto all’interno della rete, forum, community, blog, social network, rappresentano ambienti diversi attraverso i quali tessere le trame della propria narrazione, rispettando specifiche regole di comportamento. La Rete, per sua natura, è fatta di percorsi di navigazione, e quindi di narrazione, che sfuggendo alla logica lineare e top down, impongono il presidio attento di questi molteplici spazi di relazione;
il tempo: il racconto aziendale non può più essere pensato come autoconclusivo, condensato in una certa unità di tempo (di solito coincidente con il vetusto concetto di “campagna”). In rete le narrazioni vanno pensate come flusso bidirezionale, in cui i commenti degli utenti contribuendo alla formazione dell’immagine del brand, richiedono una risposta in tempi brevi. Inoltre nel web le narrazioni e le contro-narrazioni rimangono conservate nel tempo per riemergere grazie a semplici interrogazioni dei motori di ricerca;
gli strumenti: non più solo radio, stampa e tv quali meri contenitori attraverso i quali replicare lo stesso messaggio con linguaggio leggermente diverso. Computer, smartphone, tablet, rappresentano vere e proprie piattaforme grazie alle quali veicolare il racconto aziendale non solo facendo leva sulla specificità di ogni media, ma progettando un vera e propria narrazione transmediale. Secondo Henry Jenkins, direttore del Comparative Media Studies Program del MIT, il transmedia storytelling è un processo nel quale gli elementi di una storia vengono disseminati attraverso canali diversi allo scopo di creare una esperienza unica e coordinata. In pratica ogni medium viene utilizzato per veicolare un tassello specifico di una storia molto più ampia.
In definitiva il web, pensato come spazio narrativo, offre inedite possibilità di catturare l’attenzione dei propri pubblici attraverso il racconto. La sfida è comprendere che la narrazione scaturisce sempre più dalla qualità delle relazioni che l’azienda è in grado di costruire quotidianamente in rete e che al tempo dei social media una storia non ha valore se non viene condivisa spontaneamente.
[Pubblicato sul magazine della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana]