LinkedIn ha 562 milioni di iscritti (non utenti attivi) che oltre a cercare lavoro condividono contenuti la cui visibilità viene determinata da un algoritmo. Come nel caso di Facebook la formula è segreta, ma le caratteristiche principali possono essere colte leggendo i diversi pezzi di informazione che vengono disseminati dagli ingegneri nei blog ufficiali.
L’approccio scelto da LinkedIn per determinare la visibilità dei contenuti è ibrido, uomo macchina, e consta di diverse fasi, supportate da un’infrastruttura chiamata FollowFeed (che ha sostituito Sensei).
All’atto della pubblicazione ogni post viene classificato automaticamente dal software come “spam”, “low-quality” o “clear”, in appena 200 millisecondi.
Poi il sistema tiene sotto osservazione il contenuto per vedere come viene accolto dalla community. Quanti raggiunge, quanti e quali membri interagiscono, i tempi e le quantità di reazioni (like, commenti, condivisioni), quanti lo segnalano e lo nascondono.
Le segnalazioni di bassa qualità di un post possono essere fatte da chiunque e vengono analizzate in tempo reale. Se raggiungono un numero elevato vengono smistate ad un gruppo di dipendenti LinkedIn per una revisione ulteriore (come nel caso di Facebook essa si basa su linee guida conosciute, dette Community Standard, e casistiche reali che non vengono rivelate).
A seguito di questo processo di analisi l’algoritmo (potenziato da tecniche di machine learning) decide se il contenuto può essere fatto circolare liberamente o se deve subire limitazioni di visibilità più o meno estese (può essere reso invisibile in tutta la piattaforma, solo nel feed principale, fino ad arrivare alla sospensione dell’autore).
L’algoritmo di LinkedIn, al momento, risulta essere meno sofisticato di quello di Facebook. Ad esempio non tiene conto del tempo di lettura di un post (al fine di determinarne l’interesse suscitato), della freschezza, dell’affinità tra autore e lettore.
Ovviamente la formula viene continuamente modificata al fine di individuare il giusto equilibrio che consenta di aumentare la frequenza di accesso e i tempi di permanenza online degli iscritti, preservando la qualità dei contenuti. Inoltre, come su Facebook, ognuno di noi può correggere l’algoritmo intervenendo proattivamente sul news feed.
Consigli per migliorare il feed di LinkedIn
- Eliminare i contatti aggiunti senza una motivazione professionale. Io aggiungo solo le persone conosciute ed eventualmente seguo quelle in linea col mio lavoro;
- Smettere di seguire i contatti che producono contenuti poco interessanti
- Nascondere i post non in linea con i vostri interessi
- Usare l’opzione “Migliora il mio feed” per scegliere le persone e gli hashtag tematici che vorreste vedere nel flusso di notizie
Quali contenuti funzionano su LinkedIn?
- I testi lunghi su LinkedIn vengono apprezzati, soprattutto quelli che generano commenti, facendo leva su temi caldi o sulla richiesta di suggerimenti alla community;
- L’uso di strumenti nativi per postare, come la piattaforma interna di LinkedIn, può garantire migliori performance rispetto ad un semplice link ad un blog;
- Arricchire il testo con molte immagini aiuta a catturare l’attenzione (uno studio ha verificato che 8 immagini determinano il più alto numero di interazioni);
- I link a contenuti video esterni non vengono premiati dall’algoritmo (YouTube, Vimeo, TED);
Questi sono solo alcuni consigli frutto della mia esperienza e di studi empirici, ma alla base del coinvolgimento c’è soprattutto la capacità di condividere contenuti professionali di valore per il proprio network. Cosa che sarebbe semplice se esso fosse omogeneo in termini di interessi, invece su LinkedIn la rete è il risultato di stratificazioni successive (meramente dipendenti dai lavori svolti) e di aggiunte acritiche.
Il rischio più grande che vedo all’orizzonte è che LinkedIn finisca per trasformarsi in Facebook sia per volontà del management (attento a premiare soprattutto l’engagement), che per attitudine dei suoi utenti (a pubblicare post anche più personali) .