Quando sei responsabile del più grande disastro ambientale del secolo non puoi cavartela facilmente. Ma gli errori di comunicazione commessi da BP sono stati davvero tanti: dall’aver cercato inizialmente di minimizzare l’accaduto fornendo cifre sottostimate del petrolio sversato passando per il tentativo di far ricadere la colpa sul fornitore Transocean Ltd., fino alle dichiarazioni inopportune del suo amministratore delegato.
Ciò ha dato vita ad una reazione dal basso tesa a tentare di opporre all’ipocrisia del corporate storytelling una narrazione credibile in grado di disvelare la realtà e sensibilizzare le persone attraverso le armi dello humor e della creatività (e non le solite azioni di boicottaggio reale e virtuale). Tra i massimi esempi:
il geniale video spoof “BP Spills Coffee”
l’hacking della parola BP presente nelle pagine web o del logo BP incontrato nel mondo fisico attraverso un’applicazione di augmented reality
il fake twitter account BPGlobalPR che ha spiazzato tutti con i suoi messaggi al vetriolo e che inizialmente è stato davvero confuso con quello ufficiale BP_America .
We are not killing animals in the gulf, we are creating fossils in the gulf. Have a little perspective. #bpcares
Solo alla fine è arrivata l’idea, buona, ma tardiva, di usare i social media per aggiornare sullo stato delle attività di ripulitura. Il problema è che l’uso degli strumenti sociali della rete solo in tempi di crisi, in un’ottica difensiva, non produce gli effetti positivi che produrrebbe se fossero usati in periodo di pace. Un concetto semplice, ma molto spesso ignorato dai comunicatori delle grandi aziende.