Vincos – il blog di Vincenzo Cosenza

Fenomeno Crypto Art: artisti, collezionisti, piattaforme

L’evoluzione dell’arte è stata sempre condizionata dai mutamenti tecnologici che hanno introdotto nuovi strumenti, supporti e tecniche. La comparsa dei computer getta le basi per quella che sarà definita, negli anni ottanta, arte digitale ossia creazioni realizzate grazie a tecnologie hardware e software. Un concetto che si fa risalire allo sviluppo del software di pittura AARON, creato dall’artista Harold Cohen, in grado di produrre dipinti elementari, che poi ha incrociato anche la strada dell’arte generativa, quella pensata e realizzata da algoritmi.

Da un anno a questa parte è cresciuto l’interesse verso l’arte crittografica ossia quella riferita ad opere in cui l’artista decide all’inizio del processo creativo, di produrre qualcosa destinata ad essere legata, promossa, esposta e tracciata sulla rete blockchain (Andrea Concas, CryptoArte). Una definizione più estensiva potrebbe ricomprendere anche i lavori che vengono “tokenizzati” o trasformati in NFT dopo la loro realizzazione. In questo modo se ne garantisce la provenienza, l’autenticità e la proprietà. Inoltre lo smart contract associato potrebbe garantire delle royalty aggiuntive al creatore ad ogni passaggio di proprietà.

da sinistra: Pak, Beeple, XCopy

Il mercato della cripto arte

La maggior parte degli NFT scambiati sul mercato sono riferiti ai cosiddetti collezionabili. Quelli legati a progetti artistici rappresentano solo il 9%, ma i volumi sono comunque degni di nota ed in crescita. La capitalizzazione del mercato della CryptoArt è di oltre 1,3 miliardi di dollari e le opere vendute hanno superato i 2,3 milioni di unità (dati aggiornati su CryptoArt.io). Un impulso concreto è stato dato dalle case d’aste storiche come Christie’s, Phillips e Sotheby’s che hanno iniziato a vendere NFT. In particolare la prima che ha battuto un’opera di Beeple, del valore iniziale di 100 dollari, per 69. 346.200 milioni di dollari.

L’ibridazione tra arte e tecnologia blockchain sta mettendo a soqquadro l’intero sistema dell’arte. Nascono nuove genie di artisti, collezionisti, galleristi e i vecchi sono costretti a studiare per sopravvivere in questo nuovo mondo.

Innanzitutto è emersa una nuova scena di artisti che non hanno seguito il percorso accademico e professionale tradizionale. Spesso sono esperti di computer grafica, art director, web e game designer, a loro agio con gli strumenti e le tecniche dell’arte digitale, ma anche esploratori del mondo cripto.
Non credo si possa parlare di un movimento di crypto artisti, nel senso di un gruppo caratterizzato da un’uniformità di stili, obiettivi, poetica. Anzi, si tratta di un mondo molto variegato, anche se probabilmente, col tempo, emergeranno stili comuni e correnti chiare.

Se a livello internazionale i nomi più quotati sono quelli di Pak (oltre 200 milioni di vendite), Beeple (176 milioni) e XCopy (oltre 64 milioni), in Italia gli artisti più in vista sono il duo Hackatao (crasi di “hacker” inteso come “persona che supera le limitazioni imposte con creatività e ingegno” e “tao”, nel senso di “tutto vivente”) che mescola estetica pop, graffitismo e simbolismo, che ha venduto opere per 36 milioni di dollari.
Segue Skygolpe, con i suoi ritratti senza volto riempiti di colate di colore alla Bacon, che ha venduto pezzi per 6 milioni di dollari. Dotpigeon, invece con il suo ladro mascherato che sbeffeggia la ricchezza, ha realizzato vendite per circa 5 milioni.
Gli altri italiani da record sono dangiuz, e le sue atmosfere alla Blade Runner, Federico Clapis e le sue sculture dal futuro, Annibale Siconolfi, Alessio De Vecchi e Fabio Giampietro.

da sinistra: Hackatao, Skygolpe, Dotpigeon

Anche i collezionisti sono di una specie diversa. Sono investitori in criptovalute grossi (le cosiddette “whale”) e piccoli oppure imprenditori dell’economia della conoscenza. I primi hanno obiettivi soprattutto speculativi su quelli che considerano dei prodotti più che altro finanziari. I secondi sono interessanti al valore simbolico e culturale delle opere. Le vedono come un manuffatto dell’innovazione, un prodotto dello spirito del tempo, da possedere.
La scoperta degli artisti e delle opere segue i percorsi della rete. Passa dalle voci sussurrate nei corridoi di Twitter e Discord. Dipende dall’hype che l’artista riesce a creare (dunque ha un vantaggio chi ha sviluppato, per tempo, forti connessioni ed una community sui social media). Non vengono consultati galleristi e critici.

L’artista cerca la disintermediazione, il rapporto diretto con il potenziale acquirente, anche per evitare di pagare l’intermediario. Ma come spesso accade nelle dinamiche internettiane, la disintermediazione, nel tempo, si trasforma in re-intermediazione.
Nascono nuovi intermediari che fungono da riduttori di complessità tecnologiche, legali, di marketing e che permettono di raggiungere un ampio pubblico. Si tratta di piattaforme digitali definite marketplace perché mettono in contatto domanda e offerta di NFT, ma che si possono ricondurre a due categorie diverse.

Le piattaforme per la compravendita di Crypto Art

Alcune piattaforme offrono a tutti lo spazio per caricare le proprie opere, scegliere il prezzo, condurre un’asta e seguire il processo di vendita (in cambio di una commissione). La facilità di accesso, l’apertura alle masse le rende meno gradite agli artisti.

Tra queste la più grande per volumi trattati è OpenSea.io, nata nel 2017, che ha superato i 12 miliardi di dollari di scambi e mette in contatto oltre 1,2 milioni di trader. La sua caratteristica è la semplicità: chiunque può caricare/esporre un contenuto per provare a venderlo. La commissione è del 2,5%. Se il compratore vende ad un prezzo fisso sarà il venditore a pagare le “gas fee” per le operazioni sulla rete Ethereum. Invece se il compratore decide di accettare un’offerta sarà lui a doverle sostenere.

Il secondo marketplace per volumi trattati è Rarible, ma parliamo di circa 300 milioni di dollari e di circa 90.000 trader. Nata nel 2020, la sua caratteristica è la forma organizzativa, una organizzazione autonoma decentralizzata (DAO), che tramite il token RARI permette di partecipare alle decisioni di governance. I token vengono distribuiti agli utenti più attivi nella compravendita.

I volumi di vendita di alcune piattaforme di criptoarte (CryptoArt.io)

Altre piattaforme si atteggiano a gallerie d’arte. Non sono aperte a tutti, ma svolgono un lavoro di selezione degli artisti da esporre.
I più alti volumi li genera Art Blocks che ha la peculiarità di ospitare progetti di “generative art”, quella creata dal software, e di permettere al compratore di comprare un’opera unica e non ancora esistente, che verrà generata da un algoritmo sulla base di uno stile scelto. La fee è del 10%.

Molto nota è SuperRare, che ha un volume di affari di circa 200 milioni di dollari e poco più di 5.000 trader.
Si accede sono su invito, dopo un percorso di validazione degli artisti da parte di un comitato di esperti. Per la prima vendita, l’autore riceve l’85%, con una commissione del 15% per la piattaforma. Per le successive la percentuale per l’artista scende al 3%.

Nifty Gateway è apprezzata perché permette di acquistare e vendere in valuta fiat, con carta di credito, senza ricorrere alle criptovalute. La fee è del 5% + 30 centesimi per ogni vendita secondaria. La piattaforma è stata acquisita dalla società di exchange Gemini, di proprietà dei gemelli Winklevoss, acerrimi nemici di Zuckerberg.
Altri servizi ad accesso controllato sono KnownOrigin, Foundation, Makersplace, Ephimera, Bitski (qui una panoramica delle caratteristiche).

La mutazione del mercato dell’arte è ormai inarrestabile. Ma siamo ancora nella fase iniziale di questo processo, che sicuramente riserverà altre sorprese. Come visto nel caso dei collectible, sospetto che anche in questo mondo le aziende vorranno mettere la loro bandierina.

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