In questi giorni sta crescendo l’hype intorno al concetto di NFT per cui vale la pena di capire di cosa si tratta.
Acronimo di Non-Fungible Token, i NFT sono pacchetti di informazioni che rappresentano un oggetto fisico o digitale (un file di un video, di un’immagine o di altro) insieme alla certificazione della sua origine e della proprietà. Vengono definiti non fungibili perché sono unici e non possono essere sostituiti, ma possono essere venduti in cambio di denaro. Inoltre i diritti di proprietà del bene possono essere diversificati e frazionati tra più soggetti.
Queste caratteristiche sono assicurate dall’utilizzo della tecnologia blockchain di Ethereum, che supporta lo standard per la gestione delle informazioni utili per lo scambio dei token (nulla vieta ad altre blockchain di implementare una propria versione di NFT). In pratica, sul registro vengono registrate informazioni che non sono alterabili, ad esempio l’autore, l’ora in cui è stato creato il file, le dimensioni, la tiratura, le transazioni precedenti con il prezzo e i compratori.
La prima implementazione di questi token è avvenuta nel 2017 nell’ambito del gioco CryptoKitties che permetteva la compravendita di gattini virtuali e che ebbe talmente successo da creare problemi alla rete di Ethereum. Ma solo lo scorso gennaio è salita la febbre globale, dopo che una clip di LeBron James è stata venduta per 100.000 dollari.
Oggi circolano video discutibili della cantante Grimes (compagna di Elon Musk) venduti a circa 400.000 dollari o gif di gatti volanti per 580.000 dollari. Ma ci sono anche figurine digitali, brani musicali, appezzamenti di terra virtuali e oggetti di gioco e, naturalmente, opere di digital artist come Beeple scambiati alla cifra record di 6,6 milioni di dollari (di questo artista Christie’s ha battuto all’asta un NFT per 69,3 milioni). Cavalcando questa fase di follia generale, Jack Dorsey di Twitter ha messo all’asta il suo primo tweet che, in pochi giorni, ha raggiunto il valore di 2,5 milioni di dollari.
Un dinamismo sintomatico di un eccesso di liquidità del sistema e di una bolla speculativa nascente che potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Attualmente il mercato vale 2-3 milioni di dollari al mese ed è fatto soprattutto da token di beni digitali utilizzabili dentro giochi e da opere d’arte. Il maggior volume di scambi riguarda My Crypto Heroes, un gioco di ruolo giapponese che ha una sua sofisticata economia interna (ad esempio, l’utente può compravendere i propri eroi, usando la blockchain). Al secondo posto per volume di scambi c’è Decentraland, un ambiente digitale nel quale è possibile comprare appezzamenti di terreno e oggetti digitali pagando in criptovaluta. Altri progetti simili sono Cryptovoxels, Somnium Space e The Sandbox. Al terzo posto ci sono le vendite delle figurine digitali del gioco Gods Unchained.
Per avere un’idea di cosa si può acquistare, fatevi un giro sulle piattaforme dedicate alla compravendita dei cosiddetti “drop“, come Nifty Gateway, Rarible o SuperRare. Alcuni marketplace, come OpenSea e Known Origin, hanno semplificato il processo di creazione dei Non Fungible Token, detto “mint” o conio, tanto che basta semplicemente caricare e certificare il file.
Una galleria di cripto arte molto originale è quella di Async Art perché espone opere digitali programmabili ossia che mutano nel tempo a seconda di parametri predefiniti (ad esempio il prezzo di un’azione) o delle azioni fatte dai compratori. Queste opere sono composte da più strati, vendibili separatamente. Chi compra uno strato può contribuire a modificare l’immagine complessiva, detta Master.
Scarsità digitale: opportunità per creator e brand
Anche in passato si sarebbero potuti scambiare dei file contro moneta, ma la novità è che il sistema NFT permette a qualsiasi manufatto digitale di diventare “artificiosamente” un oggetto unico e dunque acquisire un valore di mercato.
Se in questi anni le tecnologie digitali hanno reso le opere riproducibili all’infinito, facendogli perdere qualunque aura di autenticità e originalità (la sua capacità di assumere il ruolo di testimonianza storica, per dirla con Benjamin), ora questo processo di tokenizzazione permette di restituire all’opera una sua aura, creando però una illusoria scarsità digitale.
Ma perché spendere milioni per comprare il video qui in alto, quando si potrebbe usare il tasto destro e scaricarlo? Il motivo principale risiede nell’avere la certificazione ufficiale che quel file è stato trasferito dall’autore all’acquirente che ne entra in possesso. Questo gli darà il diritto di rivenderlo successivamente, per ottenere un plusvalore, ma al creatore rimane il diritto d’autore. Per cui, in teoria, potrebbe mettere in giro copie simili o identiche dello stesso oggetto digitale (la possibilità di truffe è alta, ma gli autori più famosi tendono a non rischiare il “boomerang reputazionale”).
Per i compratori, i Non-Fungible Token possono rappresentare dei beni immateriali speculativi, da vendere per ottenere un profitto, o semplici oggetti da collezione, in grado di soddisfare un bisogno feticistico.
Per i venditori, digital creator o brand, i NFT possono diventare una fonte di reddito da non sottovalutare. Per esempio a differenze degli oggetti d’arte fisici, i NFT possono generare una percentuale di guadagno automatico per l’autore (tipicamente del 10%) anche ad ogni passaggio di proprietà (se questa funzione è inserita nello “smart contract” associato al token). Un elemento che potrebbe sostenere la cosiddetta “economia delle passioni“.
Il primo brand ad aver annusato il trend NFT è stato l’NBA che, dal 2019, mette in vendita dei frammenti video di partite in edizione limitata, producendo un giro d’affari che ha superato i 250 milioni di dollari. Microsoft ha creato dei badge virtuali, detti Azure Heroes, per ricompensare la sua community. Taco Bell ha iniziato a vendere delle .gif collezionabili. Da qualche giorno i Kings of Leon hanno lanciato il nuovo album anche in versione NFT che permetterà all’acquirente di ricevere i brani in digitale, una edizione limitata del vinile e delle opere digitali da collezione.
Possiamo riflettere sull’eticità della vendita di un tweet o di una gif, ma finché ci sarà una domanda la compravendita di beni digitali sarà una di quelle attività con cui dovremo fare i conti. D’altronde brand come Nike e Gucci hanno già iniziato a vendere i loro prodotti virtuali per vestire i giocatori di Fortnite o Pokémon Go. E non sono neanche pezzi unici!
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