E’ da quindici anni che si sente parlare di Web 3.0, ma solo negli ultimi mesi i contorni di questo nuovo termine sono divenuti più chiari. Ecco perché ho pensato di appuntare qui alcune informazioni di base, provando a semplificare concetti complessi e fenomeni in divenire a beneficio della comprensione mia e dei lettori. Ma andiamo con ordine.
Il web 1.0, quello che indicativamente possiamo collocare nell’arco di tempo che va dal 1991 al 2004, era quello dei siti statici. Chi aveva la capacità di crearli, li usava per mostrare informazioni ad una massa di fruitori passivi. I contenuti erano rappresentati da testi ed immagini, che non permettevano interazioni, erogati da un file system statico, anziché da un database. Una rete di sola lettura, si diceva, “read-only web”.
Le applicazioni che lo hanno caratterizzato sono state il browser, per l’accesso ai siti, e i motori di ricerca, per scovare le informazioni.
Il web 2.0, quello che stiamo vivendo tuttora, fu concettualizzato dalla web designer Darcy DiNucci nel 1999 e reso popolare da Tim O’Reilly nel 2004. Il termine viene usato per indicare una rete più partecipativa e sociale, caratterizzata da servizi che democratizzano, rendendo più semplice, la creazione e la condivisione di contenuti, ma anche la comunicazione tra persone. Appaiono gli strumenti che permettono al consumatore di diventare produttore. In questi anni si è passati da Blogger e YouTube a Facebook e TikTok, in un arco che va dalla pubblicazione di qualcosa alla creazione di video complessi, da visibilità limitate a palcoscenici potenzialmente vastissimi.
Al tempo stesso questo ambiente è terreno fertile per servizi che favoriscono l’avvicinamento di produttori e consumatori, di domanda ed offerta (si pensi a eBay, Amazon per i beni o a Uber e Fiveer per i servizi).
Dunque le applicazioni che caratterizzano il web 2.0 sono i social media e i marketplace.
Dal Web 3.0 al Web3
Il concetto di web 3.0 inizia a circolare già agli inizi del duemila, ma non c’è accordo sulle sue caratteristiche. Il padre del World Wide Web Tim Berners-Lee ne parla come un “web semantico”, un ambiente in cui i documenti pubblicati sono corredati da metadati che ne specificano il contesto semantico in un formato che i motori di ricerca, e gli altri agenti software, possano comprendere. In definitiva un ambiente più intelligente e più utile per le persone alla ricerca di informazioni.
Ma negli ultimi due anni l’etichetta è mutata, adesso si scrive web3, ed ha iniziato ad assumere un diverso significato. Col termine si intende un web decentralizzato ossia un diverso funzionamento di internet in cui la struttura client/server (in cui i dati sono gestiti e conservati da enti centrali fidati) verrebbe sostituita dalla tecnologia blockchain (un registro distribuito su una rete peer to peer) e da un insieme di protocolli nuovi.
Questa nuova configurazione permetterebbe di innovare il modo in cui vengono gestiti i dati, togliendo potere a strutture di governo centrali, perché essi sarebbero archiviati in più copie su una rete di computer peer to peer. Le regole di gestione sarebbero formalizzate in protocolli e garantite dal consenso dei partecipanti alla rete, spesso incentivati con un token per la loro attività. La tecnologia blockchain è come una macchina contabile distribuita (per alcuni un sistema operativo diffuso) che registra tutte le operazioni e transazioni di token ed esegue i calcoli.
Se il web 2.0 ha innovato il front-end, il web3 punta a cambiare il back-end delle nostre esperienze in rete.
I nuovi protocolli del Web3
Ma non basterà la catena a blocchi a portare a compimento questa metamorfosi, ci sarà bisogno di molti protocolli per permettere il funzionamento di specifiche applicazioni che daranno servizi agli utenti (dette applicazioni decentralizzate).
Ad esempio per creare un Facebook decentralizzato, occorrerà un archivio di file decentralizzato per gestire i contenuti prodotti dagli utenti. Per far ciò esistono soluzioni specifiche come IPFS, Filecoin, Storj, Sia. Esse permettono di creare un archivio distribuito, incentivando i nodi della rete (persone che mettono a disposizione il proprio computer) a condividere lo spazio di archiviazione, attraverso un token. In questo modo si potrebbe riuscire anche a risolvere il problema attuale del web che scompare, ossia l’impossibilità di ritrovare vecchie pagine perché cancellate dal server in cui erano archiviate.
Poi serviranno protocolli per avere database distribuiti (BigChain DB), sistemi di gestione delle identità distribuiti (SSI, DIDs, IPDB), di comunicazione (ActivityPub) e così via.
Le applicazioni decentralizzate
Le applicazioni decentralizzate sono quelle che vengono eseguite su una rete di computer peer to peer, anziché sul computer dell’utente che le lancia. Non sono una novità e non necessitano di una blockchain, che è un tipo specifico di rete P2P, per funzionare. Pensate a uTorrent per condividere e scaricare contenuti, Bitmessage per la messaggistica e Tor per navigare nel dark web.
Un’applicazione decentralizzata del Web3 o dApp è un’app che sfrutta una rete blockchain (ad esempio Ethereum), spesso open source (quindi con codice sorgente ispezionabile). Può avere una interfaccia (front-end) del tutto simile alle applicazioni che usiamo tutti i giorni, ma presenta un funzionamento di back-end diverso perché comunica con una rete blockchain e non con server proprietari.
Il funzionamento della dApp è definito all’interno di uno smart contract (righe di codice, quindi software) che viene eseguito automaticamente sulla blockchain. Siccome questi “contratti automatizzati” sono pubblici si può essere certi che un’applicazione di questo tipo farà solo quello che è stato specificato nel contratto.
I principali vantaggi delle dApp sono la decentralizzazione, la sicurezza e l’anonimato.
- Decentralizzazione ossia il funzionamento senza necessità di appoggiarsi a server centrali, permette alle dApp di funzionare senza avere un’entità centrale che ne gestisce l’operatività e di farlo anche quando alcuni o molti nodi della rete non dovessero essere disponibili. Ciò garantisce una resilienza rispetto ad attacchi esterni o censure governative;
- Sicurezza perchè le dApp utilizzano la crittografia per proteggere i dati scambiati sulla rete blockchain. Inoltre, i dati dell’utente trattati dall’applicazione non vengono trasferiti in server esterni, ma rimangono nella disponibilità del suo proprietario che, dunque, ha anche un controllo totale sui contenuti che produce.
Questa peculiarità apre le porte ad un nuovo tipo di economia perché l’utente potrebbe farsi ricompensare automaticamente da chiunque utilizzi le sue creazioni digitali o i servizi offerti. In teoria, potrebbero affermarsi social media in grado di ricompensare chi partecipa alla produzione di valore; - Anonimato perché l’autenticazione alle dApp non avviene con l’accoppiata username/password, ma con l’associazione al proprio wallet che può essere anonima. Il wallet è un’applicazione che contiene il nostro indirizzo sulla blockchain e le nostre chiavi crittografiche (pubblica e privata), in pratica una sorta di portachiavi per compiere operazioni nel web3, oltre che un porta valori (per conservare criptovalute e NFT).
Attualmente esistono centinaia di dApp che coprono diverse esigenze. Le più comuni sono quelle del mondo della finanza decentralizzata o De-fi (Tether, Oasis, PancakeSwap), dei giochi (Splinterlands, Alien Worlds, CryptoBlades), anche d’azzardo (Serious Dice, TTGuess, Luminous), dei mercati di criptovalute (Uniswap, KLAYswap) e di NFT (OpenSea, SuperRare, KnownOrigin Marketplace) e dei social (Steemit, Yup, PeakD). Per avere un’idea dell’esistente potete fare un giro su dAppRadar e State of the dApps.
Siamo in una fase molto fluida e per questo interessante, nella quale diverse idee emergono per affermarsi e plasmare la rete che verrà. Allo stato attuale i vantaggi delle architetture decentralizzate non eclissano le criticità che si possono sintetizzare in una maggiore lentezza delle prestazioni e nell’usabilità delle applicazioni, ancora poco adatte all’utente medio della rete.
Presto per dire se arriveremo ad un web completamente decentralizzato, ma sicuramente assisteremo ad una prima fase di competizione e poi di convivenza tra applicazioni tradizionali e decentralizzate.
In attesa dei vostri commenti e suggerimenti, vi consiglio il libro Token Economy.