L’industria dei social: conversazione con Gabriella Taddeo

I social sono cambiati molto negli ultimi anni. Inizialmente erano uno strumento che ci permetteva di (ri)costruire la nostra rete sociale fisica e condividere con essa le nostre esperienze, pubblicamente. Non a caso li chiamavamo social network. Ora li chiamiamo semplicemente social, sottintendendo social media, ossia mezzi che ci permettono di “socializzare” la nostra vita, ma non partendo da reti di contatti. Sempre più, infatti, li usiamo per seguire interessi, più che persone (da friend driven a content driven). Insomma, siamo passati dal modello Facebook al modello TikTok.

Per approfondire l’evoluzione dei social ho fatto quattro chiacchiere con la prof. Gabriella Taddeo, ricercatrice e insegnante di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi all’Università di Torino e autrice del libro “Social. La fabbrica delle relazioni“.

Nel testo, Gabriella sostiene che i social si differenziano sulla base della diversa attenzione che danno a tre aspetti: l’anonimato degli utenti (es. LinkedIn “impone” l’utilizzo del proprio nome e cognome), la persistenza dei contenuti (es. Snapchat punta sulla volatilità dei post) e la visibilità degli stessi (dalla condivisione con molti a quella con poche cerchie, racchiuse in gruppi pubblici o privati). Ogni piattaforma cerca di differenziarsi e di creare una propria “brand identity” in base a come decide di modulare questi tre elementi.

Vero che, ormai, ogni social cerca di copiare le caratteristiche distintive degli altri per offrire un mix di funzioni che possano accontentare un po’ tutti. Forse l’unica costante è che tutti puntano a far leva sui contenuti prodotti e sull’attenzione delle persone per sviluppare un proprio business, spesso a detrimento della promessa di visibilità tanto sbandierata in origine. Ecco perché l’autrice parla di fabbrica delle relazioni.

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