“Zero Comment” di Geert Lovink, direttore dell’Institute of Network Culture presso il Politecnico di Amsterdam, raccoglie 3 saggi ascrivibili al filone di teoria critica della rete. Ho trovato la sua scrittura poco fluida e i suoi discorsi frammentari, ma pur non condividendo il suo pensiero relativamente al saggio “Bloggare: l’impulso nichilista” val la pena sottoporvelo per ragionarci assieme.
Secondo Lovink “il cinismo non è un tratto caratteriale del blogger ma una condizione tecno-sociale (…) il cinismo della rete è costituito da freddo illuminismo, una condizione post-politica” il blogger si confessa (nell’accezione di Foucault) attraverso il blog, vuole dire la (sua) verità e liberarsi, “una verità ormai divenuta punto di domanda, un progetto amatoriale”.
Ci troviamo di fronte ad un “nichilismo compiuto” come inteso da Vattimo ossia non come assenza di significato ma come pluralità di significati…”non esistono assoluti morali o leggi naturali infallibili e la “verità” è inevitabilmente sogettiva”.
Addirittura spesso alludendo ad un legame tra blog e fondamentalismo, afferma che “i blog esprimono paura, insicurezza e disillusioni personali, ansie in cerca di complicità. Raramente vi si trova passione (fatta eccezione per l’atto di bloggare in sè)”
Inoltre la tendenza a sfiorare gli argomenti, “ad indicare un articolo senza approfondirlo e offrine un’opinione vera e propria, salvo dire che vale la pena essere citato è una pratica diffusa e fondativa del blogging”. Insomma i blogger sono interessati solo a se stessi e alle metriche di successo, “creano arcipelaghi di link interni, ma si tratta di legami molto deboli”.
pure io lo trovo “spesso” da leggere da tempi non sospetti. Certo e’ che la sua analisi mi pare colga nel segno: c’e’ un nichilismo snob di fondo nella blogosfera (con venature nicciane, ad essere sinceri) che emerge in maniera lampante soprattutto se si parla di politica. il tragico e’ che penso che sia precondizione del bloggare. personalmente sto cercando un po’ di sfuggirne (fa parte dei cambiamenti che cerco di mettere in atto di questi tempi), ma potrei fare di meglio.
Complimenti per l’interessante topic.
Da esterno/interno della blogosfera spero che susciti profonde riflessioni nei blogger che lo leggono perchè ci trovo molta amara verità.
Il mio modesto parere è che il principale pericolo per il blogger è quello di divenire da persona a “brand di stesso”.
Il rischio è quello che i contenuti interessanti (come quello di questo post) e le grandi possibilità offerte dal mezzo vengano ridotti a una miriade di reality show (portati all’apice in Twitter) e di opinioni superficiali (e molto spesso copiate dal “blog vicino”) delle quali, francamente, niente mi interessa e che considero inutili.
La via di uscita? forse la crisi e riflessione (pionere Suzukimaruti), tunnel nero, allla fine del quale ci sarà qualcosa di nuovo.
O un nuovo modo di fare qualcosa.
Ciao
S.
Mi sembra un’analisi lucida ed esemplare… è vero, solo pochissimi blogger esprimono passione, tutti gli altri cercano di improvvisarsi ciò che non sono: giornalisti, divulgatori informatici, narratori… Uno dei pochi blogger che esprime vera passione secondo me è Gigi Tagliapietra, per questo adoro i suoi post. Ma quasi tutti gli altri che si sentono rappresentanti di chissà cosa alla fine cercano solamente di tessere dei link per affermare che ci sono e sono qualcuno. Anche per questo alla fine contano molto poco e vanno in ordine sparso e non rappresentano una voce autorevole, ma solo migliaia di voci indistinte che non possono nuocere (o fare del bene) a nessuno. Per quanto mi riguarda, il Web 2.0 ha introdotto delle grandi novità, ma la blogosfera, soprattutto quella italiana, ha perso e continua a perdere nel momento stesso in cui qualcuno si ostina a chiamarla tale.