L’Unione Europea sta dibattendo una direttiva sul cosiddetto diritto all’oblio ossia il diritto dei singoli a chiedere che le informazioni in rete che lo riguardano vengano cancellate o rese inaccessibili. Un diritto sacrosanto in linea di principio, ma con almeno tre grossi ostacoli pratici.
Il primo è che ancora non è ben chiaro quali tipologie di informazioni possano essere oggetto dei questo diritto. Ad esempio se io sono ritratto in una, magari innocua, foto di gruppo su un social network, ho il diritto di pretendere l’eliminazione di quella foto? In Italia, se non erro, ci si è focalizzati soprattutto sul diritto all’oblio riferito a pubblicazione di notizie. Una recente sentenza della Cassazione ribadisce l’obbligo per i siti di news di impedire ai motori di ricerca l’accesso all’archivio storico
Il secondo è che in un sistema aperto e globale come internet è difficile gestire le complessità derivanti dall’esistenza di diverse giurisdizioni e prevenire tecnicamente la copia non autorizzata di un’informazione da parte di terzi.
Il terzo è che nell’era dei big data, che discuto nel mio ultimo libello, diventa molto difficile ritrovare i propri dati, quando mescolati e aggregati in enormi database, con quelli di altri.
In definitiva, secondo European Network and Information Security Agency (ENISA), c’è un contrasto tra direttive che debbono necessariamente essere ampie in modo da permettere agli stati membri di recepirle nel quadro nazionale, e soluzioni tecniche che debbono essere necessariamente specifiche per funzionare. Un conflitto forse insanabile?
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