Facebook è cambiato molto in questi anni (vedi osservatorio per l’evoluzione numerica), ma il racconto dei media mainstream dei vissuti degli utenti è rimasto sempre sospeso tra pregiudizi e sensazionalismi. Per la prima volta i risultati di una ricerca finanziata dal MIUR e condotta da cinque Università italiane sfatano alcuni dei miti fondanti del racconto cui siamo stati abituati.
“Relazioni sociali ed identità in Rete: vissuti e narrazioni degli italiani nei siti di social network” è il primo progetto di ricerca qualitativa su larga scala sui social network in Italia basata su ben 120 interviste in profondità (il sito ufficiale).
Ne vien fuori una maturità degli italiani nell’imparare a cogliere le opportunità offerte da Facebook: quello di essere uno spazio di riflessività connessa sul senso dell’amicizia e sul valore dei legami sociali, sulla necessità di preservare la propria sfera privata e l’opportunità di raccontarsi consapevolmente in pubblico.
Ecco alcuni dei luoghi comuni che vengono sfatati:
– “Chi sta su Facebook rinuncia alla privacy”: gli intervistati, giovani e adulti, dimostrano di conoscere i rischi legati alla condivisione di informazioni private, ma li percepiscono come distanti dai loro vissuti quotidiani. Hanno imparato a gestire strategicamente la propria identità privata in pubblico, utilizzando secondo i propri fini mutevoli le leve che la piattaforma consente (nell’immagine i differenti approcci alla privacy delle varie generazioni);
– “Stare su Facebook è il pretesto per pubblicare ogni cosa”: gli italiani sentiti dichiarano di essere molto attenti ai contenuti postati e condivisi arrivando anche ad auto censurarsi per agire in un modo ritenuto corretto per un ambiente non anonimo e semi‐pubblico come Facebook. Le persone imparano guardando se stessi, ma anche i comportamenti degli altri in rete;
– “Facebook è un luogo di simulazione della vita”: emerge chiaramente che il social network non viene visto come luogo di simulazione anonima e sganciato dalla realtà quotidiana, ma complementare e funzionale a presentarsi in accordo all’immagine che esprime meglio l’idea che uno ha di sé.
Per capire questi nuove pratiche può essere utile un quadrante che nasce dall’incrocio di self presentation (attitudine ad una presentazione di sé orientata all’inclusione o all’esclusione comunicativa) e social connections (alta o bassa eterogeneità dei legami sociali).
Ora sta a noi fare tesoro di queste evidenze per (contro)raccontare una rete che è cambiata, con buona pace di quanti vorrebbero ancora dipingerla come un mondo virtuale e pericoloso.
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