L’adozione di massa dei social media ha indubbiamente stravolto l’industria musicale, il modo di lavorare delle etichette e il modo di comunicare degli artisti. Sicuramente ha rivitalizzato un’industria che, più di ogni altra, aveva subito le nuove regole della rete. Più difficile capire se le opportunità offerte all’industria si siano estese a tutti i generi musicali.
Innanzitutto quello che è cambiato in questi anni è il modo di scoprire e di fruire la musica. L’ultimo rapporto IFPI, l’organizzazione che rappresenta l’industria discografica mondiale, fotografa bene la situazione italiana dei primi mesi del 2021.
Il consumo di musica nel nostro paese è pari ad una media di 19,1 ore settimanali, in forte crescita rispetto alle 16,3 ore del 2019, probabilmente anche a causa della pandemia che ci ha costretti a rimanere in casa.
Il fatto rilevante è che la gran parte delle ore di ascolto passa dai social media. Stando ai dati, il 24% delle persone ascolta musica attraverso i servizi di video streaming (leggasi YouTube), l’11% lo fa grazie ai video brevi (quindi TikTok in primis), il 2% usa altri social media. Un’altra rilevante porzione dell’ascolto passa dai servizi di audio streaming (17% premium e 12% free) e dalla radio (17%) che mantiene una sua comodità di ascolto durante gli spostamenti.
Social media: le sfide per artisti e case discografiche
Dunque i social media hanno cambiato le abitudini di fruizione e di conseguenza hanno trasformato anche l’industria discografica e il comportamento dei suoi attori principali.
Gli artisti, grazie ai social media, hanno guadagnato la possibilità di accorciare la distanza dai fan e di coltivare un rapporto continuativo e non solo in prossimità della pubblicazione di un album o della partenza di un tour. Oggi è facile vedere i musicisti parlare della propria quotidianità in una storia su Instagram o improvvisare un pezzo per il piacere di intrattenere i fan.
Gli esordienti partono dal web per costruire un proprio capitale sociale da “portare in dote” all’etichetta che li contrattualizzerà. I più noti, invece, usano i social per rafforzare il personaggio costruito insieme all’etichetta o per esprimersi senza filtri, magari parlando di politica (spesso rendendo la vita difficile alla propria casa discografica). Insomma si può dire che molti artisti hanno assunto atteggiamenti da influencer, anche se si pensa al rapporto simbiotico che sviluppano con i brand.
Altri invece subiscono la pressione dei commenti degli abitanti della rete, che spesso non sono fan, ma “stan” ossia community molto attive che producono meme e tormentoni, ossessionate dall’idea, immutabile, che hanno del proprio idolo.
Le case discografiche hanno dovuto imparare a gestire una comunicazione diversa dal passato per ritmo, stile e formato. Le social platform hanno imposto regole alle quali conformarsi, partendo dalla necessità di un piano editoriale serrato da riempire di contenuti continuamente e non soltanto in occasione delle release più importanti. Tali contenuti, inoltre, devono adeguarsi ai formati che ogni singola piattaforma predilige in un certo periodo di tempo. Ad esempio, negli ultimi due anni TikTok ha sconvolto il lavoro di tutti i social media manager obbligandoli alla produzione di video brevi, arricchiti da musica ed effetti speciali.
A causa dei social media è anche cambiato il modo di lavorare del reparto A&R (Artist & Repertoire) che si occupa di scoprire nuovi talenti. Non serve più frequentare i locali dove si suona musica dal vivo per scovare le stelle nascenti della musica, meglio dotarsi dei migliori strumenti di ascolto della rete per identificare, prima dei competitor l’entusiasmo dei primi fan o sorbirsi ore di ascolto di oscure tracce su Soundcloud. Ad un certo punto, però, l’A&R manager si troverà di fronte al grande dilemma: provare a coltivare il talento ancora sconosciuto o puntare su quello che ha già un buon numero di follower o di ascolti in streaming?
Indubbiamente le metriche imposte dai social media sono un altro elemento di novità che ha sconvolto l’industria. Ormai è diventato essenziale tenere sotto controllo i numeri sia di interazioni e reach dei contenuti, sia di ascolti in streaming (alcuni lo fanno anche con l’aiuto di data analyst) per valutare le attività di marketing. Si tratta di un aspetto positivo purché le metriche social non vengano subite, ma scelte in ragione della loro capacità di indicare la strada verso obiettivi di valore e non di mera vanità.
Social media: l’impatto sui generi di nicchia e il futuro
Ma l’impatto dei social è stato positivo per tutta la musica, anche per i generi di nicchia?
Sicuramente i social media offrono opportunità a tutti i tipi di artisti ed etichette. Oggi anche il musicista jazz può avere il suo palcoscenico infinito in rete e coltivare il rapporto col suo pubblico, a patto di investire una parte del suo tempo in questa attività non prettamente artistica (la verità è che pochi ne hanno voglia).
Al tempo stesso, però, è vero che le piattaforme più frequentate, puntando all’intrattenimento massivo, a massimizzare la permanenza e l’engagement tendono a privilegiare i tormentoni di facile ascolto. Su TikTok il frammento di un brano sfruttato con perizia all’interno di un video divertente può far prendere il volo a pezzi che valutati per la loro qualità artistica farebbero sanguinare i padiglioni auricolari. Il rischio che le etichette cedano al fascino dell’engagement facile, propinandoci brani buoni solo per TikTok è alto.
In futuro della musica continuerà a passare dalla rete e dai social media. Ne seguirà, inevitabilmente, l’evoluzione. L’audio e i soundbites saranno sempre più incorporati nei formati creativi. Ma soprattutto, se i prossime luoghi di incontro delle persone saranno ambienti tridimensionali o metaversi, l’industria discografica si attrezzerà per essere presente anche lì. Le prime sperimentazioni le abbiamo viste su Fortnite con i concerti “aumentati” di Marshmello, Trevis Scott e Ariana Grande. Presumibilmente a cambiare non saranno solo le performance, ma anche il modo di incontrare i fan negli ambienti digitali.
Ancora prima potrebbe trasformarsi anche il rapporto con essi per diventare diretto, ossia non più intermediato dalle etichette, grazie alle opportunità offerte dal web3 e dalla tecnologia blockchain. Tra i tanti esempi, spicca quello del produttore e compositore di dance music Justin Blau, aka 3LAU, che ha venduto il suo album autoprodotto in versione NFT per 11,7 milioni di dollari e che ora ha fondato Royal che permette agli artisti di vendere i brani NFT e, con essi, una parte dei diritti (quindi gli acquirenti non avranno solo un oggetto da collezione, ma anche una parte delle royalty).
In generale i token possono essere usati come biglietto di accesso a contenuti esclusivi o come “azioni” di un futuro progetto artistico, la cui proprietà viene condivisa con i sostenitori.
Di alcuni di questi temi ho avuto occasione di parlare durante la Milano Music Week 2021 con Francesco Calì (Social Media Manager, Warner Music Italy), Marco Fugazza (Head Of Marketing Local & Int’l rep, Polydor – Universal Music Italia), Eleonora Rubini (Head Of Marketing, Columbia Records – Sony Music Italy) e Laura Martinez (Digital Marketing Manager Spain, Italy & Portugal, BMG).