Patrizia Pepe – Un pessimo caso di comunicazione in rete

Ricordate il caso Nestlè? Qualcosa di simile è accaduto qualche giorno fa sulla pagina ufficiale Facebook di Patrizia Pepe, brand fiorentino di abbigliamento.

Patrizia Pepe foto che ha scatenato crisi comunicazione

La pubblicazione di una foto di una modella ha dato luogo alle critiche di due soli fan, cui è seguito la reazione aggressiva del community manager della pagina (in basso grazie a Ninja Marketing lo screenshot del thread ora rimosso stranamente non visibile a tutti gli utenti Facebook, ma solo a coloro che hanno impostato la lingua italiana).

patrizia pepe facebook

A quel punto il racconto dell’accaduto è rimbalzato nella blogosfera (qui l’elenco dei blog che ne hanno parlato) e su Twitter. Anche qui la reazione dell’azienda non si è fatta attendere (immagine tratta da TalkisCheap)
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patrizia pepe twitter

E dopo aver rivendicato con orgoglio le proprie posizioni, ieri sera l’azienda ha scritto un post di scuse (guarda caso sul blog aziendale, il cui traffico è ignoto anche a Google Adplanner, e non sulla pagina Facebook che sfiora i 150 mila likers).

Cosa abbia determinato questo modo schizofrenico di gestione dei rapporti con la rete è difficile affermarlo con certezza. Probabilmente una forte disconnessione tra chi è stato incaricato di gestire i social media, rispetto ai responsabili delle relazioni pubbliche. O forse l’improvvisa consapevolezza che la linea iniziale avrebbe potuto nuocere alla recente imponente campagna pubblicitaria in rete, proprio nel giorno in cui si stava lanciando la relativa applicazione iPhone.

Spesso i responsabili aziendali che incontro hanno una terribile paura delle crisi che si possono sviluppare online. Quello che non sospettano è che la crisi non è determinata dalle critiche degli utenti, ma dalla gestione errata delle risposte. Il caso Patrizia Pepe è l’ennesima dimostrazione che un approccio dilettantesco alla comunicazione nei luoghi della rete (rispondere d’impulso e con aggressività, cancellare commenti su YouTube, trattare i blogger con alterigia) non paga.

33 replies on “Patrizia Pepe – Un pessimo caso di comunicazione in rete”
  1. Mi piace il tuo post: semplice e dritto al punto. Mentre mi pare che a 2 giorni dallo scoppiare del caso tutti i “social media experts” stiano rigirando la frittata e andando contro a chi aveva attaccato il brand, povero capro espiatorio..

  2. says: Natanata25

    io credo che la verità stia nel fatto che le aziende scelgono le modelle anoressiche. che lo siano di natura o per ” scelta ” il messaggio che arriva a chi lo guarda è lo stesso. o sei così o questo vestito non te lo metterai mai. se vai in un negozio la taglia massima è una 46 che è piccola. se hai una 48 ( e non vuol dire essere una balena ) non troverai nulla, ninete di carino. Allora io dico che anche i negozi che accettano solo le taglie mini per donne mini dovrebbero dare un messaggio diverso e accettare le collezioni si per ragaze mini di costituzione ma anche per ragazze in carne che hanno tutto il diritto di trovare cose carine senza doversi recare ai grandi magazzini per forza dove i capi di abbilgiamento sono stile nonna di campagna…informi e incolori…tristi..se è una malattia tanto diffusa e che uccide tutti quelli che ci lavorano dovrebbero cambiare modo di operare. dallo stilista che crea il vestito a chi lo vende. se ogniuno facesse la sua parte non ci sarebbero tanti casi. si sfrutta la debolezza sociale di alcune donne per vendere e fare soldi. la risposta della sig.ra pepe non è sbagliata solo aziendalmente ( anche se allucinante apprezzo la sincerità con cui difende una politica da vomito ) ma moralmente, socialmente. E’ li che pecca davvero. A livello umano. So che lavorare bisogna farlo tutti ma quando è possibile scegliamo davvero di non incoraggiare certe scelte ? Abbiamo ancora dei principi in cui crediamo ? O per soldi siamo disposti a tutto ? Sono solo i soldi che giarno a far scegliere quella ragazza molto magra. Non è lei che fa schifo povera che sia per natura o meno ma chi ha pensato all’abito e chi lo vende. Sapendo che solo chi sarà altrettanto magra potrà indossarlo. Che lo si volgia o no, anche se le intenzioni possono essere nobili ( ma ne dubito ) il messaggio è sempre lo stesso per una ragazzina che deve ancora capire tanto del mondo e di se stessa: vuoi apparire ? vuoi piacere ? devi essere magra magra magra. E per essere tanto magra o sei così di natura o non mangi. fino a rischiare di morire…ipocrita dire che il capo su di lei ha una resa perfetta. Se lo facevano uguale per Sabrina Ferilli ci stava bene lo stesso ma quella è una donna con le curve. Che rappresenta davvero una donna media italiana. Questo è il fatto. Il resto sono chiacchiere.

  3. says: Natanata25

    io credo che la verità stia nel fatto che le aziende scelgono le modelle anoressiche. che lo siano di natura o per ” scelta ” il messaggio che arriva a chi lo guarda è lo stesso. o sei così o questo vestito non te lo metterai mai. se vai in un negozio la taglia massima è una 46 che è piccola. se hai una 48 ( e non vuol dire essere una balena ) non troverai nulla, ninete di carino. Allora io dico che anche i negozi che accettano solo le taglie mini per donne mini dovrebbero dare un messaggio diverso e accettare le collezioni si per ragaze mini di costituzione ma anche per ragazze in carne che hanno tutto il diritto di trovare cose carine senza doversi recare ai grandi magazzini per forza dove i capi di abbilgiamento sono stile nonna di campagna…informi e incolori…tristi..se è una malattia tanto diffusa e che uccide tutti quelli che ci lavorano dovrebbero cambiare modo di operare. dallo stilista che crea il vestito a chi lo vende. se ogniuno facesse la sua parte non ci sarebbero tanti casi. si sfrutta la debolezza sociale di alcune donne per vendere e fare soldi. la risposta della sig.ra pepe non è sbagliata solo aziendalmente ( anche se allucinante apprezzo la sincerità con cui difende una politica da vomito ) ma moralmente, socialmente. E’ li che pecca davvero. A livello umano. So che lavorare bisogna farlo tutti ma quando è possibile scegliamo davvero di non incoraggiare certe scelte ? Abbiamo ancora dei principi in cui crediamo ? O per soldi siamo disposti a tutto ? Sono solo i soldi che giarno a far scegliere quella ragazza molto magra. Non è lei che fa schifo povera che sia per natura o meno ma chi ha pensato all’abito e chi lo vende. Sapendo che solo chi sarà altrettanto magra potrà indossarlo. Che lo si volgia o no, anche se le intenzioni possono essere nobili ( ma ne dubito ) il messaggio è sempre lo stesso per una ragazzina che deve ancora capire tanto del mondo e di se stessa: vuoi apparire ? vuoi piacere ? devi essere magra magra magra. E per essere tanto magra o sei così di natura o non mangi. fino a rischiare di morire…ipocrita dire che il capo su di lei ha una resa perfetta. Se lo facevano uguale per Sabrina Ferilli ci stava bene lo stesso ma quella è una donna con le curve. Che rappresenta davvero una donna media italiana. Questo è il fatto. Il resto sono chiacchiere.

  4. says: Luca Sartoni

    A costo di risultare molto impopolare vorrei farti una domanda: per giustificare il “non paga” finale, esiste un report finanziario che lo possa giustificare? Io non sono completamente convinto che davvero non paghi. Credo che dipenda molto dal modello di business dell’azienda. In alcuni casi sono d’accordo che davvero non paghi, in altri credo che faccia la patta e in alcuni altri (forse più di quanto si possa credere) penso sia remunerativo sul lungo periodo.

    1. La gestione dilettantesca non paga nel senso che scatena critiche, probabilmente influisce negativamente sulla SERP di Google e comunque produce un’immagine negativa del brand anche se su una base esigua di persone. Essere anti-social può anche pagare se in linea con i valori del brand, ma a quel punto la coerenza iniziale deve essere mantenuta nel tempo. Qui si sono scusati, ammettendo l’errore iniziale.

  5. says: Anonimo

    Da manuale, un classico esempio di 1) formazione sbagliata del social team, 2)nessuna preparazione sulla gestione crisis 3) zero comunicazione aziendale interna.
    Ma un cavolo di Social style guide noo?
    Patrizia Pepe, welcome to my Social Reputation Disaster case history lol

  6. Dall’inizio della polemica a oggi il numero di like alla pagina Facebook è aumentato quasi di 700 unità, com’è da intendere secondo te questo dato? Nel senso che ha trasmesso un’immagine molto negativa e dimostrato di non saper gestire forti critiche sui social network, eppure ha guadagnato molti like.

    1. probabilmente stanno continuando a fare pubblicità. La vicenda tra l’altro è stata annegato sulla pagina facebook dai nuovi post prodotti. Inoltre da notare che non si sono scusati su facebook ma solo sul blog.

  7. says: Lancellottiluca

    Trovo i commenti tutti molto interessanti e condivido il commento di Davide V. ed è purtroppo la realtà piu’ bruciante, apparte il lato umano della vicenda e l’idiziozia di chi risponde a nome della societa’..vorrei infatti considerare il lato professionale e il “culo” (passatemi il francesismo di queste persone che hanno “successo” coi loro prodotti, col loro marchio. come hanno fatto se le cose importanti le affidano a degli incapaci?
    purtroppo in questo nostro paese funziona cosi’ ed è per questo, come in altri casi, non ultimo silvian Heach, che queste rimangono chiacchiere da salotto e questi marchi continuano a lavorare tranquillamente..

  8. says: Massi Spa

    la pubblicità migliore è quella che non si paga. pagavano poco il social media manager. che culo. tutto sto buzz è oro. se fossi il brand manager di patrizia pepe andrei a chiedere l’aumento.
    In un mondo sempre più virtualizzato le persone cercano l’autenticità. Non si sta parlando delle scelte strategiche di un brand come “DOVE” o del nobel per la pace di wired italiano, qui si parla del contraddittorio/scintillante/malato/seducente/bulimico/mondo del fashion design, del fascismo dell’ipocrisia del politicamente corretto, dello “skynny jeans, skynny bitches”, e del fatto chiunque abbia scritto quelle cose può davvero essere uscito dalla schizofrenia di un film come il diavolo veste prada ma in fondo ha tutta la mia solidarietà e empatia. e io che prima ignoravo completamente l’esistenza di patrizia pepe, ora ne sono entusiasta fan in fb. fantastico, in un tempo di formazione/procedure/gestione della crisi, di agenzie che producono fake, wom, viralità finalmente un oraganico fenomeno di crowdsourcing dei crowdsourcers.
    ma forse è troppo bello per essere vero e il social media manager lo hanno davvero pagato un botto di soldi.

  9. says: Andreabaroncelli76

    E’ evidente il livello più casereccio di quest’azienda rispetto a Nestlé, per cui il paragone mi sembra valido solo fino a un certo punto. Inoltre il caso Nestlé, a quanto ho potuto vedere su questo stesso blog, mi sembra sia stato enfatizzato e c’entra relativamente poco con quello in esame qui: è legittimo ritenere molesta, in casa nostra, una persona che approfitta della nostra ospitalità per imitarci in modo caricaturale, poiché ciò supera ampiamente il diritto di critica.

  10. says: bibiinfashion

    conoscete fashionis? è l’unico outlet online di moda che usa come modelle per i suoi capi delle persone non anoressiche ovvero normali..e viene deriso per questo!! questo per farvi capire che ormai la moda sostiene il modello anoressico e lo usa spacciandolo per sinonimo di normalità e salute..
    io porto una 42 e non ho delle gambe scheletriche come quelle della modella della foto.. basta mandare messaggi negativi!!

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