Il fenomeno Susan Boyle , brutto anatroccolo con la voce da usignolo, è ormai noto a tutti (in basso una mia elaborazione delle discussioni generate).
Ma come mai il suo debutto televisivo è diventato così velocemente il video più visto di sempre in rete, con oltre 170 milioni di visite cumulate ?
La risposta più convincente e controcorrente la offre Henry Jenkins, secondo il quale il video non può dirsi “viral”, ma “spreadable” ossia con le caratteristiche giuste per porsi come oggetto di una transazione consapevole tra gli utenti.
Le motivazioni alla base di questa transazione sono le più diverse e spesso possono rientrare nel modello dell’economia del dono. Ma la cosa più interessante è comprendere che nel momento in cui condividiamo un oggetto sociale, quell’atto e quell’oggetto, che dicono molto del nostro mondo e delle nostre relazioni, servono a creare uno stimolo alla conversazione, dunque servono a mantenere vivo un rapporto o a crearne uno nuovo.
Inoltre il caso Boyle è emblematico della cosiddetta cultura convergente, ossia di un ecosistema in cui i produttori di contenuti ricevono benefici dall’azione dei consumatori attivi, anche perchè ha messo in evidenza il fallimento del mercato al tempo della rete, un mercato in cui la domanda è superiore all’offerta, in cui grazie ad internet è apparsa una “surplus audience” di milioni di persone, non contemplati dal “target primario” dei produttori inglesi di Britain’s got talent.
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