Il successo di TikTok si deve alla capacità di ByteDance di sfruttare strategicamente tecnologia e dati per dare sostanza a due elementi differenzianti: gli strumenti creativi e il suo algoritmo di visibilità. L’applicazione è proprio pensata per essere un potente strumento creativo, prima che uno mezzo di condivisione.
La sua tecnologia è in grado di trasformare un semplice smartphone in un software di montaggio e doppiaggio, con tanto di effetti speciali e filtri sofisticati. TikTok è un Adobe Premiere per la Gen Z con funzioni social.
TikTok è un Adobe Premiere per la Gen Z con un social intorno
L’algoritmo comunista
L’altro elemento di innovazione è rappresentato dal suo algoritmo di raccomandazione e visibilità che, a differenza di quello degli altri social, non va a premiare solo chi ha già un grande seguito, ma dà una possibilità anche al contenuto del perfetto sconosciuto.
Come lo fa? Inserendolo, per un tempo limitato, nel flusso della sezione “Per Te”, quella che tutti scorrono spasmodicamente per scoprire nuovi video personalizzati sulla base degli interessi del singolo utente. Solo che a volte l’algoritmo ci piazza un contenuto che non è in linea con quegli interessi. Lo monitora e se viene visto e apprezzato da un primo gruppo di destinatari, verrà mostrato ad un numero sempre più ampio di utenti.
Dunque l’algoritmo è studiato per fare innumerevoli A/B test sui contenuti per capire quali funzionano, con l’obiettivo di aumentare l’attaccamento all’app (“stickiness”) misurato in tempo trascorso e numero di visualizzazioni. Il risultato finale per le persone è la scoperta casuale di video nuovi, che si accompagna all’opportunità di uscire sia dalla bolla del proprio network di profili seguiti, che da quella dei contenuti più popolari.
Durante un’intervista uscita su “7 del Corriere della Sera” ho parlato di un algoritmo quasi meritocratico. Ripensandoci, si potrebbe meglio definire come comunista nel senso che prova a garantire a tutti le stesse opportunità di successo. E infatti, se guardiamo alla classifica dei profili col maggior numero di follower, troviamo personaggi sconosciuti sugli altri social media che devono la loro popolarità a TikTok.
Charlie D’amelio, oltre 116 milioni di follower, ha preso il volo dopo la “renegade dance” (una coreografia neanche originale, ma creata da un’altra ragazza) e poi ha consolidato il suo successo per la sua faccia acqua e sapone e i suoi balletti “innocenti”.
Addison Rae, al contrario, ha puntato di più sui lip-sync e i balli ammiccanti che hanno mandato in visibilio oltre 80 milioni di persone. Bella Porch, 70 milioni di follower, è diventata nota per un suo lip-sync realizzato in primo piano e accompagnato da numerose smorfie facciali.
Ultimo in ordine di tempo Khabane Lame, ventunenne di Chivasso che, proprio in queste settimane, sta insidiando le tre star statunitensi. Il motivo del suo successo? Aver saputo sfruttare la funzione Stitch di TikTok che permette di mostrare un video altrui e di cucire in sequenza una propria reazione. In questo modo ha iniziato a prendere in giro la stupidità altrui, opponendovi la sua semplicità e il suo candore, espressi con un una mimica acchiapparisate. Il suo video più premiato dall’algoritmo di TikTok è quello della banana (condiviso oltre 500.000 volte e apprezzato da 35 milioni di persone).
@khaby.lame Ig:@khaby00
♬ suono originale – Khabane lame
I compromessi degli algoritmi di raccomandazione
Ma l’algoritmo comunista che premia gli sconosciuti e democratizza i like e le visualizzazioni, fa emergere talenti nascosti o favorisce la mediocrità? Ed è meglio o peggio degli algoritmi a cui siamo stati abituati finora?
Se dovessi giudicare i video dei tiktoker più famosi direi che non sono particolarmente creativi, ma sicuramente hanno una buona capacità d’intrattenimento per un’ampia fetta di pubblico, soprattutto quello giovane. C’è da dire che, in qualunque ambiente mediale, quasi mai popolarità fa rima con creatività e TikTok non fa eccezione.
Qui l’algoritmo è pensato per individuare il talento nascosto tra tutti i produttori di contenuti, non semplicemente da una rosa di nomi famosi. Ma il suo obiettivo è sempre quello di trovare il candidato alla popolarità, il personaggio che possa piacere ai più. Anche perché sarebbe davvero difficile progettarlo per scovare la creatività, una qualità ardua da connotare anche per un essere umano.
Gli algoritmi degli altri social media fanno un lavoro diverso. Sono tarati per premiare i contenuti dei personaggi già noti (quindi rispondenti ad un gusto di massa) e per far emergere foto e video che non abbiamo mai visto, ma in linea con i nostri interessi attuali. Di conseguenza tendono a rafforzare i nostri gusti e le nostre convinzioni (“confirmation bias”). Se su YouTube ho guardato qualche video negazionista, il motore di raccomandazioni mi proporrà video simili scovati anche tra gli account più nascosti. E più continuerò a guardarli, più ne vedrò comparire. L’obiettivo è quello di farci rimanere attenti e attivi per il maggior tempo possibile.
In definitiva non esiste l’algoritmo perfetto perché c’è sempre un difficile equilibrio da ricercare tra rafforzamento dei gusti e scoperta di novità. Nè esiste l’algoritmo su misura delle esigenze di ciascuno di noi. Ma non potrebbe essere altrimenti.
È normale che la ricetta algoritmica sia sviluppata per raggiungere le finalità dello sviluppatore e non dei singoli, ma questo non vuol dire che non dovrà tener conto delle esigenze degli utenti, quanto meno della maggioranza di essi (pena la disaffezione).
Oggi la cosa migliore che può fare un social per noi non è creare l’algoritmo perfetto, ma darci la possibilità di influenzarlo. In parte già è così perché possiamo segnalare i contenuti che non ci piacciono, ma probabilmente potrebbe essere fatto di più. Ad esempio, sarebbe interessante disporre di un selettore per scegliere la percentuale di novità estranee ai nostri gusti che ci piacerebbe emergesse dal fiume di notizie che ci inondano quotidianamente.
Comments are closed.