Come ogni anno il Reuters Institute for the Study of Journalism e l’Università di Oxford hanno pubblicato il “Digital News Report 2021”, sempre molto utile per capire come gli abitanti di diverse nazioni si rapportano al sistema informativo. Si basa su un questionario erogato online, tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio 2021, ad un campione rappresentativo della popolazione (in Italia 2010 individui). Quindi, la rilevazione tende a sottorappresentare coloro che non usano la rete. Siccome il report completo dice poco sulla situazione italiana, ho chiesto dei dati che qui illustro.
Prima di tutto vale la pena segnalare un dato di contesto relativo alla fiducia nel sistema informativo che, rispetto all’anno precedente, è cresciuta di ben 11 punti, arrivando al 40%. Probabilmente la pandemia ha innescato un bisogno di notizie che è stato ben soddisfatto dal circuito mediatico italiano.
Le fonti d’informazione: meno social, più aggregatori
Lo smartphone si conferma il dispositivo privilegiato per l’accesso all’informazione (68%, +5%), mentre cala il computer fisso (38%).
Tra le fonti di notizie più usate prevalgono di poco le fonti online (inclusi i social) sulla televisione (76% contro 75%), che nel nostro paese continua ad avere un ruolo ingombrante, più che altrove. La carta stampata, invece, continua il suo declino verso l’irrilevanza (18% ossia -4 punti rispetto all’anno prima).
Approfondendo il comportamento di chi cerca le notizie online si scopre che il 21% cita i social media, che però subiscono un calo del 6%. Il 22% dice di usare i motori di ricerca per inserire il nome di un sito web specifico (-1%) e il 17% per cercare una notizia (+1%). Solo il 19% (+1%) riferisce di consultare direttamente il sito web o l’app della testata (in media negli altri paesi questo è il punto di accesso principale). Il 9% cita gli aggregatori di notizie, che crescono di 4 punti, il 5% le newsletter (-1%).
Dunque la perdita di rilevanza dei social media come fonte principale è stata rilevata soprattutto dalle applicazioni che permettono di avere un riassunto, algoritmico o curato, delle notizie.
Alla domanda specifica sulla tipologia di aggregatori, il 20% degli italiani dice di visitare la sezione Google News o la relativa applicazione (-3%), il 14% cita i siti dei giornali (-5%), il 12% la rassegna stampa (+1%). Valori residuali per Apple News (7%) e Flipboard (5%), Upday (5%), Good Morning Italia (3%) e Feedly (2%).
L’applicazione social più usata per trovare, leggere, discutere e condividere notizie è Facebook, citato dal 50% dei rispondenti (-6%). Lo segue WhatsApp (30%, +1%) e YouTube (20%, -4%). Arresta la sua corsa Instagram che viene usato dal 15% degli intervistati (-2%). Twitter, nonostante sia nato per questo, si attesta all’8%, quasi al pari di Telegram, che sorprende con un 7% di utilizzo. Chiudono la classifica Facebook Messenger al 6%, LinkedIn al 4% e TikTok al 2%.
L’attenzione sui social premia gli influencer
Ma l’attenzione delle persone che vogliono apprendere notizie negli spazi sociali a chi è rivolta? Alle testate giornalistiche o alle persone? La domanda è molto interessante e le risposte cambiano a seconda del social media.
Gli italiani su Twitter hanno come punto di riferimento gli account ufficiali delle testate o i giornalisti, ma anche le celebrità e gli influencer (quest’ultimo dato è superiore alla media delle altre nazioni).
Su Facebook si fa attenzione ad un mix di testate e gente comune, mentre su YouTube il mix informativo italiano è molto variegato e si divide tra testate, influencer e fonti più piccole. Infine su Instagram le persone apprendono le notizie soprattutto dagli influencer (la stessa cosa vale anche per gli altri social basati sull’immagine come Snapchat e TikTok che in Italia non sono ancora numericamente rilevanti ai fini di questa survey).
Un comportamento che si spiega anche con lo snobismo e l’incapacità dei giornali e dei giornalisti di usare efficacemente il linguaggio nativo di questi ambienti sociali per portare le notizie ai più giovani (tra le eccezioni Will e Torcha su Instagram e Alessio Balbi su TikTok).
Il vuoto lasciato, come sempre avviene nelle dinamiche di rete, è stato immediatamente occupato da persone comuni che hanno iniziato a commentare i fatti del giorno con empatia e soddisfacendo un bisogno di notizie snack comprensibili. Un fenomeno di ulteriore “democratizzazione” dell’informazione reso possibile da app come TikTok che, incorporando potenti strumenti di post produzione, semplificano la creazione di contenuti. Inoltre i motori di raccomandazione favoriscono un’accelerazione della diffusione delle notizie che possono arrivare a pubblici molto ampi.
Al tempo stesso questa dinamica porta con sé degli effetti distorsivi noti a chi frequenta la rete da tempo. La democratizzazione implica che accanto ad esperti appassionati che commentano le notizie di propria competenza (ad esempio i medici), emergano anche soggetti senza alcuna formazione che, nei casi più gravi, diventano propagatori di notizie false, in ciò agevolati da algoritmi programmati per amplificare i contenuti che hanno più probabilità di essere apprezzati.
Comments are closed.