L’arresto di Durov e i lati oscuri di Telegram

Il 24 agosto Pavel Durov, fondatore di Telegram e di VKontakte, è stato arrestato in Francia. La notizia ha fatto scalpore perché è la prima volta che viene messo in manette il capo di un social medium così rilevante. Telegram è utilizzato da 950 milioni di persone e da oltre 16 milioni di italiani.

Inizialmente non era chiaro il motivo di questo provvedimento. Solo ieri il procuratore ha reso noto che Durov è stato fermato per essere sentito in merito ad un’indagine contro ignoti che riguarda 12 gravi reati, tra cui pedopornografia, frode, riciclaggio, servizi di crittografia senza autorizzazioni. Aggiornamento: Durov è stato accusato formalmente di complicità nella diffusione di immagini pedopornograiche e altri crimini perpetrati sulla piattaforma. In pratica, per non aver fatto nulla per rimuovere i contenuti dopo esserne stato informato dalle autorità.

Immediatamente la rete si è divisa tra innocentisti e colpevolisti. Tra i primi Elon Musk, Edward Snowden e diversi propugnatori del “free speech” sui social. Ma, a ben vedere, qui la “libertà di parola” non c’entra nulla. C’entrano probabilmente il comportamento sfuggente del fondatore (sempre in giro in località segrete e reticente alle richieste delle autorità) e una piattaforma-far west dove circola di tutto (dalla pedopornografia ai contenuti illegali). Un unicum nel panorama mondiale delle piattaforme social, che sono tenute ad adottare comportamenti di trasparenza e di proattività nel caso vengano a conoscenza di reati commessi dai loro utenti.

pavel durov

Telegram: sicuro e libero da pressioni governative?

Telegram è una piattaforma ibrida, un mix tra social media e applicazione di messaggistica istantanea. Le funzioni social sembrano prevalere visto il largo utilizzo da parte degli utenti dei Canali, che permettono la pubblicazione di contenuti broadcast (da uno a molti) e visibili a tutti.
La messaggistica privata è presente, ma a differenza di quanto ritengono molti, i messaggi non sono criptati end-to-end di default, come invece avviene su WhatsApp e Signal. È necessario attivare le “chat segrete” per ogni contatto con cui si vuole comunicare privatamente. Dunque, teoricamente, la stragrande maggioranza dei messaggi è accessibile dai dipendenti di Telegram e dai cracker.

In questi anni, Durov è stato capace di far percepire Telegram come un luogo sicuro e libero dalle pressioni governative, in primis quelle sovietiche. Egli, pur essendo nato in Russia, ha costruito una narrazione di “dissidente”, allontanato dal suo paese per non aver voluto cedere alle richieste della polizia di fornire dati su cittadini ucraini (di ciò non ci sono evidenze).
La storia ha inizio nel 2017 quando, a seguito dell’attacco alla metropolitana di San Pietroburgo, l’FSB (i servizi segreti russi) chiese le “chiavi crittografiche” di Telegram per accedere ai messaggi che i terroristi si erano scambiati per coordinare l’attentato. Durov si rifiutò e il Roskomnadzor (agenzia russa che si occupa del monitoraggio e della censura dei mass media) minacciò di bloccare l’applicazione. Blocco mai avvenuto, ma funzionale ad alimentare lo storytelling duroviano che ebbe grande risonanza sulla stampa e che gli garantì l’iscrizione di utenti occidentali. Anzi, sembrerebbe ci sia stata una collaborazione di Telegram con le autorità di polizia russe. Lo ha sostenuto anche Oleg Matveychev (vice capo del comitato russo per le politiche dell’informazione, le tecnologie e le comunicazioni) “Durov ha trovato un compromesso con l’FSB…Telegram ha istallato strumenti di monitoraggio di tutti i soggetti pericolosi“. Va detto che l’azienda ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento con gli apparati di sicurezza.
È vero che Durov ha venduto VKontakte, clone di Facebook, ad aziende governative russe ad un ottimo prezzo, ma è anche vero che non ha subito una persecuzione da parte del regime putiniano. Addirittura, è emerso che sarebbe tornato in Russia 62 volte negli ultimi anni.

Come fa i soldi Telegram?

Per capire la natura di Telegram e valutare i comportamenti del suo padre padrone (Durov fa il CEO, il product manager, il capo del marketing e delle finanze), è necessario “seguire il denaro”. Telegram non pubblica i suoi bilanci, ma di certo non è in grado di produrre utili. Avrebbe debiti per oltre 530 milioni di dollari. Nonostante gli sforzi per tenere bassi i costi (ha solo 60 dipendenti dislocati in varie parti del mondo), l’azienda non è riuscita a creare un flusso di ricavi costante e rilevante. Durov ci ha provato introducendo gli abbonamenti Premium, le pubblicità e anche lanciando una criptovaluta, ma l’operazione si è rivelata un fallimento (dopo aver racimolato 2,5 miliardi di dollari, li ha dovuti restituire con gli interessi, quando non ha ottenuto l’autorizzazione della SEC).

Secondo i documenti messi insieme dalla Pravda Telegram sopravvive grazie ai finanziamenti privati e alle obbligazioni emesse.
Tra i finanziatori privati figurano numerosi oligarchi russi, come Roman Abramovich, Sergey Solonin, David Yakobashvili (sanzionato per la sua vicinanza al governo russo).
Tra gli acquirenti dei suoi bond ci sono aziende controllate dal Cremlino, tra cui VTB Capital che ha 1 miliardo di obbligazionI Telegram ed è guidata da un partner di Putin, Andrey Kostin, e Alfa Capital di Mikhail Fridman, sanzionato dall’UE ed ex datore di lavoro della figlia di Putin.

telegram: indicatori finanziari

Al di là della vicenda giudiziaria francese, l’opacità di Durov mi ha indotto da anni a non usare Telegram perché non voglio produrre contenuti per una piattaforma che si pone al di sopra delle leggi. Il diritto alla libera espressione non è l’unico diritto che deve essere tutelato dai social media. Ci sono anche i diritti dei minori e delle minoranze, degli autori di contenuti, degli utenti a vivere in un ambiente mediale sano.
Se vi va di approfondire vi consiglio questo pezzo di Nazar Tokar, una storia di Wired, un editoriale di Yaroslav Azhnyuk e il sito del gruppo investigativo Kremlingram.

Di questi argomenti ho parlato a Rai Radio 1 durante la trasmissione “L’Italia in diretta”. Si può ascoltare qui (dal minuto 28).

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1 Comments

  1. says: Dario

    Posizione interessante e ben argomentata, anche se faccio fatica a capire quali sono le fonti realmente autorevoli, in vicende complesse come questa.

    Qual è la fonte, ad esempio, dell’affermazione “ anche lanciando una criptovaluta, ma l’operazione si è rivelata un fallimento (dopo aver racimolato 2,5 miliardi di dollari, li ha dovuti restituire con gli interessi, quando non ha ottenuto l’autorizzazione della SEC).”? Non era forse andata così solo con il primo tentativo, poi superato dalla nuova versione Toncoin ora funzionante?

    Grazie

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