Il mercato nel quale oggi operano le aziende è caratterizzato da un consumatore aumentato con bisogni complessi e mutevoli e dall’ipercompetizione. Quest’ultimo concetto non deve far pensare ad una situazione in cui i competitor sono più numerosi che in passato, ma a quella di un mercato caratterizzato da azioni competitive intense e veloci, in cui i concorrenti devono muoversi rapidamente per costruire i propri vantaggi e per intaccare quelli degli avversari (Richard D’Aveni, Hypercompetition, Simon & Schuster, 1994).
L’escalation competitiva si presenta come un susseguirsi di onde sempre più ravvicinate nel tempo, fatte di profitti prima crescenti, poi stabili e poi decrescenti, derivanti dallo sfruttamento di un vantaggio competitivo temporaneo. Ecco la differenza rispetto al passato: i vantaggi competitivi non si misurano più in anni, ma in mesi. In questo la tecnologia, quale forza della distruzione creativa, ha il suo ruolo determinante.
Dunque, l’azienda che vuole rimanere sulla cresta dell’onda deve rinnovarsi continuamente, cercare sempre un nuovo vantaggio competitivo in grado di sorprendere i concorrenti, anche quando vuol dire mettere in discussione lo status quo, ossia il proprio vantaggio competitivo attuale. Un compito arduo, soprattutto per le grandi organizzazioni, perché vuol dire distruggere quello che si è creato in passato, con la speranza di riuscire a generare nuovo valore.
In questa complessa situazione di mercato le aziende, sempre più spesso, assegnano al marketing un ruolo di maggior peso rispetto al passato. Tra i motivi:
- Il marketing ha una visione completa dell’azienda: chi gestisce quest’area funzionale dovrebbe avere una conoscenza più ampia del business aziendale, rispetto alla finanza, alle operation, al prodotto, alle vendite o all’IT. Il motivo è che nei compiti del Chief Marketing Officer c’è la comprensione del mercato, della concorrenza (offerte e aziende), dei partner, dei clienti attuali e potenziali. Questa visione a 360 gradi è fondamentale per fare le scelte più oculate o percorrere le ipotesi più coerenti con la strategia aziendale.
Si pensi al lancio del Sony Reader. Fu il primo lettore di e-book lanciato sul mercato nel 2004 ma, pur avendo una tecnologia all’avanguardia, non riuscì a fermare l’avanzata di Amazon. Cosa andò storto? L’azienda si concentrò sul prodotto, sbagliando la strategia di go to market. Inizialmente scelse di vendere l’oggetto nelle catene di elettronica e non nelle librerie. Ma soprattutto non aveva pensato a costruire un ecosistema di partner che avrebbe permesso all’acquirente di avere a disposizione un catalogo di libri dal quale scegliere;
- Il marketing è la funzione più vicina al cliente e al mercato: il consumatore aumentato, al centro dei pensieri dell’azienda, impone un ascolto continuo e un’assistenza costante. L’obiettivo è passare dalla “persuasione occulta” al coinvolgimento del cliente nel processo di creazione del valore. O quanto meno puntare all’anticipazione e alla soddisfazione dei suoi bisogni, costruendo un rapporto duraturo che punti a massimizzare il Customer Lifetime Value (il valore cumulato nel tempo del cliente).
Ė importante non limitare l’ascolto ai clienti del prodotto, ma avere sempre dei sensori attivi che permettano di identificare i nuovi trend culturali che attraversano la società. Intercettare i segnali deboli può rivelarsi vitale per individuare nuove opportunità di business o di comunicazione prima dei concorrenti;
- Il marketing ha le domande: la mole di dati che viene prodotta quotidianamente dalle persone e dalle attività aziendali sta esplodendo. Generalmente il dipartimento IT è in grado di raccogliere ed estrarre tutti i dati che vuole, ma spesso non è in grado di fare le domande giuste. Sono le domande che guidano le ricerche e la progettazione degli algoritmi utili ad estrarre valore dai dati. E le domande nascono da ragionamenti su ipotesi, suffragate da una conoscenza delle dinamiche di mercato e delle caratteristiche aziendali che il marketer padroneggia. Ma difficilmente sarà possibile ottenere insight utili sulla base di interazioni estemporanee tra IT e marketing. E’ necessario, invece, sviluppare un rapporto di collaborazione che permetta un confronto serrato e continuativo alla ricerca di fenomeni e relazioni non immediatamente visibili;
- Il marketing può guidare la disruption: la costruzione del vantaggio competitivo non può più essere demandata alla funzione prodotto perché le persone cercano esperienze. Chi progetta un prodotto tende ad essere immerso completamente negli aspetti funzionali, senza alcuna cognizione delle variabili di mercato. Dunque è il marketing che ha i titoli per assumere il ruolo di guida della disruption dell’offerta, ovviamente coordinando gli sforzi di tutti i reparti.
Pensate a quello che è successo al Fire Phone, lo smartphone lanciato da Amazon nel 2014. Venne fuori esclusivamente dalla mente del CEO Jeff Bezos che, in quel caso non partì dalle esigenze del consumatore, ma dalle sue. All’epoca il suo più grande cruccio era riuscire a saltare l’intermediazione dell’App Store di Apple nella vendita dei suoi prodotti e così pensò ad uno smartphone proprietario per agevolare gli acquisti sul suo ecommerce. Lo riempì di funzioni inutili (come il display 3D che si muoveva a seconda dello sguardo dell’utilizzatore) e lo prezzò come l’iPhone, pensando di indurre le persone a considerarlo un prodotto sostitutivo. Fu un fallimento clamoroso perché le persone non avevano bisogno di comprare uno smartphone così costoso per fare acquisti su Amazon;
- Il marketing può essere motore di crescita: negli ultimi anni i CMO sono sotto pressione perché, sempre più frequentemente, vengono investiti di una nuova responsabilità, quella di contribuire direttamente ai ricavi aziendali o, quanto meno, di concentrarsi su attività misurabili in termine di contributo alla crescita. Ovviamente sono spuntate anche nuove etichette, ad esempio Coca-Cola dal 2017 ha un Chief Growth Officer che sovraintende alle strategie di corporate marketing e di relazione con i retailer, ma soprattutto deve garantire che il valore di brand si trasformi in crescita di ricavi e margini di profitto.
Questa nuova concezione del CMO ha sia lati positivi che negativi. Sicuramente è giusto pretendere che le attività di marketing vengano correttamente misurate, visto che oggi è possibile grazie alle tecnologie digitali. Al tempo stesso, però, una eccessiva pressione su obiettivi di ricavo potrebbe stimolare un marketing miope, molto focalizzato sulle performance di breve periodo e poco sugli obiettivi aziendali di più ampio respiro.