I social stanno diventando servizi a pagamento? Si, ma non completamente. Qualcosa sta cambiando? Sicuramente si, come avevo preannunciato nel mio report sui Trend del 2023.
Iniziamo col dire che il tentativo di far pagare gli utenti dei social media non è una novità. LinkedIn lanciò Premium nel lontano 2013, pensando agli utenti che volevano ottenere più opportunità lavorative (email dirette agli sconosciuti e insights aggiuntivi).
YouTube ha introdotto l’offerta Premium nel 2018 dando la possibilità di usare l’app in background senza vedere annunci pubblicitari e di scaricare video.
Nel 2022 è stata la volta di Snapchat Plus (a giugno) che offre funzioni creative aggiuntive, di Discord con Nitro (ottobre) che dà diritto a creare un proprio server, a caricare file più grandi e a trasmettere in HD e infine di Twitter Blue (novembre).
Poi, pochi giorni fa, anche Mark Zuckerberg ha avallato questo trend con l’annuncio di Meta Verified.
Che cos’è Meta Verified?
Meta Verified è un abbonamento mensile (solo per maggiorenni) che dà diritto ad una serie di servizi premium:
- Badge blu ossia la verifica dell’identità (tramite invio di un documento ufficiale
- Monitoraggio attivo di eventuali “impersonificazioni”
- Supporto clienti (umano)
- Maggiore visibilità per i commenti e per i contenuti prodotti (nel feed, nei risultati di ricerca e nelle sezioni Esplora)
- Sticker esclusivi da usare nelle Storie Instagram e nei Reel
- Un pacchetto di 100 star al mese (da usare per donarle a creator)
Per ora il test è attivo in Australia e Nuova Zelanda al prezzo di 11,99$ (da web) e 14,99$ (da app store). Meta punta a convincere 12 milioni di paganti entro il 2024 con un introito di 1,7 miliardi. Quindi, è chiaro che il programma è destinato ad una esigua minoranza degli utenti della famiglia di app di Zuck (che sono oltre 3 miliardi). In particolare, i creator che hanno la necessità di proteggere il proprio brand ed hanno bisogno di un supporto reale (il programma, per ora, non si applica agli account aziendali).
Gli aspetti critici di Meta Verified
Il primo aspetto da evidenziare è che, con questo programma, Meta sta cambiando il concetto di “account verificato”. Finora le coccarde blu hanno identificato i personaggi degni di nota, domani indicheranno coloro che hanno fornito un documento per certificare la propria identità, a pagamento. Quindi, probabilmente, le vecchie spunte blu verranno eliminate (mentre Twitter ha optato per un sistema meno chiaro).
Il secondo tema che pone questo nuovo programma è quello della sicurezza. C’è chi sostiene che la sicurezza diventerà un lusso, che solo i paganti avranno profili sicuri. In verità, chi paga avrà un livello in più di sicurezza rispetto ad eventuali ladri di identità perché Meta monitorerà attivamente le duplicazioni di profilo. La sicurezza di base, quella tesa ad evitare intrusioni nei server e furto di dati, continua ad essere garantita dall’azienda per tutti gli iscritti [di questo aspetto ho parlato durante una trasmissione su RaiNews].
Vero, invece, che l’assistenza clienti, che non è mai stata garantita dall’azienda, verrà assicurata ai paganti che avranno un supporto con un operatore in carne ed ossa. Scelta opinabile, ma non scandalosa.
L’aspetto più fastidioso, che avevo già fatto notare all’annuncio del servizio in abbonamento Twitter Blue, è la tendenza a dover pagare per ottenere una maggiore visibilità. Meta specifica che il boost che si otterrà dipenderà dall’ampiezza della propria audience e dall’argomento del post. In generale chi ha pochi follower dovrebbe notare maggiormente l’aumento di reach.
Far pagare per la reach apre due ordini di problemi legati all’uguaglianza e alla trasparenza:
- Uguaglianza: mentre in tutti i servizi in abbonamento prima di Twitter e Meta il pagante riceveva qualcosa in più, senza togliere alcunché ai non paganti, ora pagare per la reach vuol dire ottenere un vantaggio di visibilità a scapito degli altri. Questo perché l’algoritmo che regola la visibilità sarà programmato per mostrare prima (o solo) i post e i commenti del pagante.
- Trasparenza: pagare per la reach crea anche un problema di trasparenza. È vero che, da tempo, a causa del calo di reach sui social media si è costretti a fare pubblicità per ottenere un briciolo di visibilità. Ma gli annunci pubblicitari sono ben caratterizzati e chiari agli occhi del pubblico. Domani il rischio è che il confine tra contenuti spontanei e pubblicizzati diventi sempre più irriconoscibile, con buona pace di tutte le battaglie per la trasparenza nelle comunicazioni.
Cosa ne pensi? Fammelo sapere nei commenti!
Aggiungerei che il pagamento crea un filtro volontario invece di un imposizione.
Se ti proibisco di accedere al social, creo discriminazione.
Se invece metto un costo, la discriminazione non c’è più, ma è l’altro che valuta se sia opportuno investire o meno.
La discriminazione diventa più sottile nel momento in cui io so che una certa categoria non potrà accedere perché ha risorse economiche limitate.
Negli anni ’90 le discoteche “in” selezionavano chi aveva giacca e scarpe non da ginnastica, oltre al prezzo leggermente più alto. Il prezzo poteva non essere un problema, ma vestirsi bene diventava complicato se i mezzi economici erano limitati.