L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha finalmente preso una posizione chiara nei confronti della pubblicità occulta sul web (su questo blog ne parlo da 10 anni, avendo fatto parte di una società, DIGITAL PR, prima in Italia a coinvolgere i blogger in attività di comunicazione).
Con una nota ha fatto sapere di aver inviato lettere di moral suasion ad alcuni dei principali influencer e alle società titolari dei marchi visualizzati senza l’indicazione evidente della possibile natura promozionale della comunicazione. Tra i destinatari delle lettere, secondo indiscrezioni, ci sarebbero Belen Rodriguez, Fedez, Chiara Ferragni, Alessia Marcuzzi, Federica Pellegrini e marchi come Vuitton, Alberta Ferretti e Adidas.
L’Autorità ha individuato criteri generali di comportamento e ha chiesto di rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale, in relazione a tutti i contenuti diffusi mediante social media, attraverso l’inserimento di avvertenze, quali, a titolo esemplificativo e alternativo, #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #prodottofornitoda; diciture alle quali far sempre seguire il nome del marchio.
Con questa azione l’Antitrust prova a sollecitare gli influencer e le aziende (brand e agenzie di comunicazione) a rispettare il Codice del Consumo che, dal lontano 2005, norma le cosiddette “pratiche commerciali ingannevoli”.
Tra queste rientra l’attività che “contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o e’ idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo (…)la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all’approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto” (art. 21.1.c).
L’iniziativa è senz’altro lodevole, ma pecca nel considerare influencer soltanto “i personaggi di riferimento del mondo online con un numero elevato di followers”. A mio avviso andrebbe estesa a chiunque promuova un prodotto senza trasparenza, perchè ormai le aziende praticano anche il “micro-influencer marketing” ossia il coinvolgimento di un gran numero di soggetti che, pur avendo un seguito limitato se presi singolarmente, possono garantire un’elevata esposizione complessiva, ad un prezzo inferiore rispetto alla sponsorizzazione delle celebrità.
Concordo.
Sarebbe piu’ semplice se gli sponsor, sotto tutte le forme (dal product placement gratuito a tutte le varie forme possibili e futuribili) , di un sito fossero ben descritti in una posizione specifica, come per la privacy,
Più che altro credo che bisogna capire quanto queste persone percepiscono da queste sponsorizzazioni e se vengono regolarmente fatturate. Poi ovviamente sarebbe opportuno che queste persone esponessero pubblicamente che i marchi che loro trattano stanno pagando per apparire nelle loro comunicazioni. Credo inoltre che sia ovvio che chi espone un prodotto facilmente riconoscibile lo stia facendo sotto compenso, a meno che non lo dica esplicitamente che l’inserimento è fatto senza fini economici.
Articolo interessante. Come sempre il buonsenso sarebbe di aiuto e la linearità altrettanto.
O si può fare o non si può fare: a cosa serve sapere se chi lo fa ha più o meno follower di, è più o meno influencer di ecc… Fatta la norma la dovrebbe rispettare chiunque esponga un marchio. In fondo in fondo, anche se non ha scopo di lucro, perché anche indirettamente, se io faccio un articolo sulla pasta ed espongo evidentemente il marchio Barilla, in qualche modo godrò, seppur limitatamente, del riflesso di quel marchio.
concordo con Eduardo..Anche perché i micro-influencers se riescono a coinvolgere efficacemente comunque sono in grado di influenzare i loro follower e di veicolare e di dare maggiore efficacia nei messaggi. Quindi, indifferentemente dal numero di follower ,o si può fare o non si può…