La storia di Twitter inizia con una startup di San Francisco chiamata Odeo, che nei primi anni nel 2005 stava esplorando le potenzialità del podcasting. I suoi fondatori erano Noah Glass e Evan Williams, ex googler, che già si era fatto un nome nella scena tech con Blogger, venduta a Google per svariati milioni.
Ad un certo punto, nel 2006, Apple annuncia una nuova versione di iTunes con una funzione per fare podcast. I fondatori di Odeo capiscono che non ce l’avrebbero potuta fare e, di conseguenza, giocano l’ultima carta: chiedono ai dipendenti di pensare a nuovi prodotti da sviluppare per rimanere a galla.
A Jack Dorsey, web designer taciturno, viene l’idea di creare un servizio per mandare messaggi di testo sfruttando il sistema SMS. Così nasce TWTTR, il prototipo col quale Jack, il 21 marzo 2006, pubblica il primo tweet. L’anno successivo viene presentato al South by SouthWest e diventa il servizio che tutti conosciamo.
Da allora non si è evoluto tantissimo, poche sono state le innovazioni implementate, colpa dell’instabilità della leadership e del management (basti pensare che si sono avvicendati 12 responsabili di prodotto in 13 anni), della difficoltà di individuare la rotta da seguire.
Oggi, dopo un lungo periodo di stasi e confusione, Twitter scommette sull’integrazione di testi, video e voce, e su servizi di monetizzazione per gli influencer. La funzione “Super Follow” permetterà di far pagare i propri seguaci per tweet esclusivi, distintivi virtuali, accesso a newsletter (grazie all’acquisizione di Revue) e a spazi di discussione audio (Twitter Spaces, un clone di Clubhouse, che sto testando su gentile concessione dell’azienda). Ne ho parlato brevemente al TG1.