Elezioni 2013: i segnali in rete e il responso delle urne

Abbiamo assistito ad una campagna elettorale nella quale il web ha avuto un ruolo importante, sia come luogo delle tattiche politiche (anche se spesso non corrette, perché non inserite in un quadro strategico) che della partecipazione dei cittadini. Molti analisti e giornalisti hanno fatto l’errore di focalizzare l’attenzione e compiere pratiche divinatorie basandosi solo sull’osservazione di Twitter, sia perché più facile da monitorare, sia perché è il luogo che pensano di conoscere di più. Peccato sia solo uno dei tanti luoghi della rete e neanche il più rappresentativo della popolazione.

Eppure, mai come questa volta, gli italiani hanno lasciato pubblicamente milioni di segnali delle proprie attitudini politiche. Con gli strumenti di Blogmeter abbiamo raccolto, da ottobre, oltre 34 milioni di dati, 14 milioni di conversazioni e 20 milioni di interazioni sui social network.

Tralasciando che la raccolta e la classificazione di questi volumi di dati non è cosa tecnologicamente banale, il grosso problema è quello di riuscire ad estrarre del segnale dal rumore. Più che fare previsioni, in questa fase nuova, abbiamo preferito sperimentare e studiare, come fatto durante le primarie (qui le conclusioni raggiunte grazie al lavoro dell’Università di Urbino). Ecco cosa abbiamo scoperto.

menzioni politici web

Le citazioni sul web (siti, forum, blog, social network) non si sono dimostrate correlate ai risultati elettorali, perché molto influenzate dagli eventi contingenti amplificati dai mass media (i picchi maggiori si sono avuti a seguito dei coup de théâtre di Berlusconi).

Su Twitter, assodato che i follower sono il dato meno significativo, neanche le mention (ossia la somma di tutti i segni di coinvolgimento come retweet, reply, citazioni) degli account dei politici si sono dimostrate utili a comprendere ciò che sarebbe avvenuto. I più menzionati, Bersani, Monti e Giannino, fanno luce proprio su un ambiente mediale peculiare e ancora di nicchia.

Al contrario Facebook, pur non essendo rappresentativo della popolazione, ma frequentato da 14 milioni di italiani ogni giorno, rivelava livelli molto alti di engagement, in crescita nelle ultime settimane, di Grillo e di Berlusconi, segno di un’animazione evidente del loro “popolo”. Evidente dal grafico in basso, che il coinvolgimento dei fan di Vendola, storicamente molto attivi, ha mostrato un calo nell’ultimo periodo.
C’è da dire che anche Rivoluzione Civile è riuscita a stimolare gli utenti di Facebook ma, se questo è servito ad accreditare un brand prima inesistente, non è bastato ad ottenere un risultato elettorale soddisfacente.

trend engagement politici facebook

A questo punto, con i colleghi di Blogmeter, abbiamo deciso di sperimentare una rilevazione delle intenzioni di voto.
Ne abbiamo raccolte 34.017 provenienti da 22.456 autori unici, nel periodo dall’11 alla mattina del 25 febbraio (pubblicate alla chiusura dei seggi).
La rilevazione delle intenzioni di voto non è un’analisi del sentiment espresso nei messaggi, ma va più in profondità catturando proprio le preferenze esplicite raccontate online con linguaggio naturale (esempio “voterò o ho votato X”, “questa volta scelgo Y”).

Intenzioni Voto Web

Il risultato è stato che Grillo e il suo movimento hanno avuto il maggior numero di “voti virtuali” provenienti da autori unici ossia 10.311, con dei tassi di crescita con l’approssimarsi del voto, molto netti e superiori a quelli degli altri.
Al secondo posto Bersani e il PD con 4.564 intenzioni di voto uniche, al terzo Berlusconi ed il PDL con 3.031.
Nonostante la sovrastima di M5S, in virtù di una maggiore propensione alla condivisione dei “grillini”, e la sottostima dei sostenitori del PD e PDL, per la ragione opposta, le intenzioni di voto si sono rivelate essere un segnale predittivo interessante.

Queste esperienze, lungi dal darci certezze, mi portano a ribadire un assunto che ancora molti continuano a dimenticare: il web è un territorio mediale molto complesso e sfaccettato, fatto di tanti ambienti peculiari semplicemente perché frequentati da gruppi sociali diversi. Quindi diffidare di chi fa analisi e previsioni basandosi solo su Twitter sarebbe buona norma.